“D-Tox” di Jim Gillespie

“D-Tox” è puro intrattenimento di genere che si diverte a saccheggiare a man bassa da opere precedenti. Eppure inquieta, turba, ti lavora dentro come poche altre opere sanno fare oggi

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“D-Tox” non piacerà, ne siamo certi. Verrà rimosso, accantonato, obliato, prima ancora di affermarsi quale effettivo scampolo di visione. O magari verrà preso per la solita tirata sul soggetto disturbato che semina paura e morte attorno a lui, prima di essere messo a tacere per sempre dal protagonista. Chiariamo subito una cosa quindi: “D-Tox” è anche questo e non possiamo negarlo. E’ puro intrattenimento di genere che si diverte a saccheggiare a man bassa da opere precedenti, è variazione calcolata a millimetro su una sottotraccia inquietante che a partire da “Seven” ha affollato gran parte del cinema americano medio di questi ultimi anni. Eppure “D-Tox” inquieta, turba, ti lavora dentro come poche altre opere sanno fare oggi. E non si tratta di un sentimento scaturito dalla traccia narrativa in sé, e nemmeno da quella suspance tutta telefonata che affolla molte sequenze. E’ qualcos’altro, di meno definibile, di più radicale, di ancor più viscerale. Si tratta di un sentimento di perdita. Perdita di un corpo amato, perdita di una propria ragione di vita, distacco dalla sostanza superficiale della visione. Stallone è un poliziotto ossessionato dal ricordo della fidanzata uccisa da un maniaco omicida. Beve, si trascina stancamente il peso di una tragedia che non riesce a sopportare. Ecco poi il “D-Tox” del titolo, un ricovero per poliziotti in fase di disintossicazione situato tra le nevi del Wyoming. Un luogo isolato, freddo, distante. Perfetto per diventare teatro di una serie di uccisioni avvolte nel mistero. Ci vuole poco per capire che si tratta dell’assassino che perseguita Stallone. Ecco dunque il canovaccio narrativo. Fedele al più meccanico dei svolgimenti, sicuro della strada da seguire, imperterrito nell’indugiare ogni volta sul dato più effettistico. Ma si tratta di una falsa pista, di un tracciato sballato. Di un procedimento che non ci convince. Osserviamo il corpo di Stallone e ci dimentichiamo di tutte le ragioni dello spettacolo fracassone accavallatesi poco prima. Ne veniamo assorbiti, calamitati, fagocitati. Non possiamo farci nulla, è il potere della visione che ri-genera se stessa dalle sue ceneri. Alla concatenazione ritmica del narrato, segue la folgorazione, il lampo accecante che cercavamo. All’istantaneità del procedimento narrativo (arrivo di Stallone al D-Tox, ombra del maniaco che comincia ad eliminare tutti i poliziotti presenti nel centro) non corrisponde mai la presenzialità spaziale del protagonista. Il passo è stanco, gli occhi gonfi dal troppo pianto, la muscolatura in procinto di arenarsi in una stasi che sa di morte. E poi il ricordo. Bruciante, esplosivo, massacrante. Il corpo arriva sempre con qualche minuto di ritardo, il cinema no. Stallone avrebbe potuto salvare la sua donna, ma non c’è l’ha fatta. E’ solo ripercorrendo con la memoria quella distanza che può tentare di esorcizzare le fitte del rimorso. Non importa chi ci sia al D-Tox e ancor meno quale sia la prosecuzione dell’evento. Il cinema (quell’atto del filmare che in Stallone assume le pieghe di una forsennata dichiarazione d’amore al potere rigenerante del ricordo) si ferma qui. Giusto in tempo per impressionare un corpo (quello di Stallone)in perenne fuga dal centro della rappresentazione. Perso nell’anacronismo nostalgico di un senso di abbandono a cui non vuole rinunciare.
Titolo originale: D-Tox
Regia: Jim Gillespie
Sceneggiatura: Ron L. Brinkerhoff, tratta dal libro “Jitter Joint” di Howard Swindle
Fotografia: Dean Semler
Montaggio: Steve Mirkovich
Musica: John Powell
Scenografia: Gary Wissner
Costumi: Catherine Adair
Interpreti: Sylvester Stallone (Jake Malloy), Tom Berenger (Hank), Charles S. Dutton (Hendricks), Kris Kristofferson (Doc), Polly Walker (Jenny), Sean Patrick Flanery (Connor), Christopher Fulford (Frank Slater), Dina Meyer (Mary)
Produzione: Karen Kehela, Ric Kidney
Distribuzione: UIP
Durata: 96’
Origine: Usa, 2001

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