"Il pane nudo" di Rachid Benhadj

Tratto dal romanzo autobiografico del marocchino Mohamed Choukri, il film di Benhadj è un crudo percorso iniziatico viziato da una certa enfasi didascalica, ma vibrante e disperatamente politico.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

1948: come il suo collega berlinese Edmund, ma nel lontano Marocco, il piccolo Mohamed sopravvive di espedienti quali leccare il latte sparpagliato sul selciato da qualche benestante distratto. La vita familiare è un incubo, con un padre-padrone alcoolista dalla cintura facile (ne farà le spese il fratello di Mohamed, colpevole di aver pianto per troppa fame) e una madre parimenti vessata da brutalità virili e religiose: non si mangiano le carogne, intima al bambino entusiasta per il ritrovamento di una gallina morta nei rifiuti: si sposano, e poi si fanno finire in galera con grande ma tardivo godimento generale. Sotterfugi, frustrazioni, violenze di piazza e violenze a due piazze, rabbiosi amplessi a pagamento: i primi vent'anni di vita di Mohamed ricordano quelli di un olvidado bunueliano un po' cresciutello. Poi c'è il carcere, e dietro l'angolo, come per Malcolm X, la redenzione nelle vesti di un rivoluzionario che gli insegna a scrivere e a sgusciare tra le sbarre dell'ignoranza. Il risultato è uno dei capolavori della letteratura araba contemporanea, uscito nel 1960, che valse all'autore Moahmed Choukri una candidatura al Nobel. Il romanzo, osteggiato e censurato in patria, trova oggi una felice trasposizione nel film omonimo di Rachid Benhadj. Premiato al BAFF, "Il pane nudo" si affida completamente alla nuda storia senza molto aggiungere, caricandola talvolta eccessivamente alla continua ricerca d'effetto, quasi a voler fare di ogni episodio un exemplum: Benhaadj tende a polarizzare con un certo didascalismo (è stato insegnante), attendendosi saldamente a un preciso sistema di valori, e poiché racconta un percorso iniziatico dei più classici (e frequentati dalla tradizione araba), tale scelta consente di oscillare tra un registro quasi favolistico, la realistica crudezza del romanzo e una tensione disperatamente politica. Said Taghmaoui, ormai consolidato volto arabo all'europea, è bravo ma forse poco adatto alla parte, troppo sicuro e penetrante nello sguardo; le due principali figure femminili, appesantite da un certo schematismo "idealistico" (madre-martire/amante-folle), sono interpretate da Soraya Arterse e Marzia Tedeschi con intensità talvolta lacerante. Sono loro, in fondo, l'arteria pulsante del film, come specchio e contrappunto per Mohamed e per l'intero mondo arabo; l'occidente con cui fare i conti è in realtà sepolto tra le mura domestiche, irrequieto e silenziosamente indomabile. Soltanto chi, come Mohamed,  ha conosciuto due prigioni (la casa e la galera propriamente detta) può parlare due lingue e librare il suo sguardo oltre qualsiasi muro.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Titolo Originale: El khoubz el hafi


Regia: Rachid Benhadj


Interpreti: Said Taghmaoui, Faycal Zeghadi, Sanaa Alaoui, Karim Benhadj


Distribuzione: Esse& Bi


Durata: 90'


Origine: Francia/Italia/Marocco, 2005


 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array