FESTA FRANÇOIS TRUFFAUT – Domicile conjugal

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La saga di Antoine diventa nel tempo qualcosa a cui Truffaut non può sfuggire. Un approdo in cui riversare la sua vita, i cambiamenti intercorsi e le passioni immutate: dal cinema di Hitchcock al realismo poetico, Domicile conjugal sembra chiudere con un passato di passioni dirompenti per farsi cerniera tra quello che il cinema truffautiano è stato sinora e quello più oscuro della maturità.

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Alla quarta avventura di Antoine Doinel, le gambe di Claude Jade sono già dei compassi che misurano il mondo, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.
Sono le gambe di Christine Darbont, che hanno ormai avuto la meglio su quelle di Fabienne Tabard, a condurre lo spettatore nel Domicile conjugal di Antoine Doinel, con una ripresa à la Hitchcock di Marnie, di cui viene citata la camminata iniziale sul predellino della stazione.

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Lo spirito del maestro inglese sembra ormai essersi infiltrato sottopelle in Truffaut che, dall'inizio della stesura dell'epocale libro-intervista, arricchisce le sue storie del ritmo tipico della suspense hitchcockiana, del mc guffin detonatore, stavolta, di passioni e sentimenti.
E se, come notava giustamente Pietro Masciullo, La peau douce è un'opera profondamente debitrice delle ripetute visioni dell'autore di Notorious, qui Hitchcock entra  in casa Doinel attraverso l'ironia corrosiva con cui Truffaut guarda al nido di questa giovane coppia, ritrovandovi lo stesso sentimento ambivalente provato per James Stewart e Grace Kelly e le loro schermaglie amorose finalizzate al matrimonio…con quella fede risolutiva dell'enigma…

La finestra sul cortile dell'appartamento, da cui i giovani coniugi Doinel si lanciano messaggi di routine che hanno ancora il sapore della novità, li ritrova, nell'epilogo, identici alla litigiosa coppia sposata da anni, in un movimento circolare del tutto simile al film del '54, e alla divertita panoramica sulle fette di vita, inquadrate per un attimo dalla macchina da presa. Anche la chiusa della coppia matura, che vede replicare dai Doinel i propri litigi, con cappotto e borsetta buttati giù per le scale, aderisce ai parametri dell'umorismo hitchcockiano: «Adesso sì che si amano davvero», sentenzia convinta la moglie sotto lo sguardo perplesso del marito.

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La presenza possente di tutto questo Hitch nel nuovo – e allora ultimo, nelle intenzioni del regista – capitolo Doinel non deve sorprendere.

La saga di Antoine diventa infatti nel tempo qualcosa a cui Truffaut non sembra poter sfuggire. Un approdo sicuro in cui riversare la sua vita, i cambiamenti intercorsi nel tempo e le passioni immutate, le insicurezze e i punti fermi: un diario su schermo, uno scartafaccio da cancellare e riscrivere, come lo stesso romanzo dell'irrequieto protagonista che, messo a dormire in salone dalla mogliettina dopo la scoperta del tradimento, si preoccuperà di imbrattare fogli per tutta la notte, in una bulimica dichiarazione d'amore alla scrittura, alla narrazione, all'affabulazione propria di regista e interprete, creatore e personaggio.

E allora è legittimo che vi trovi spazio Hitchcock, così come il cinema del realismo poetico, fatto rivivere nella fervida attività umana del vicolo – ancora una finestra sul cortile – dove Antoine colora i suoi fiori, circondato da personaggi tipici del cinema francese degli anni Trenta (a cui tornerà lo splendido Paul Vecchiali di Corps à coeur...).
Dal volto pulito, da maestrina, di Claude Jade, il più hitchockiano che Truffaut abbia mai filmato (e che a lui tornerà, recitando in Topaz) a quei fiori che esplodono improvvisi rivelando i bigliettini dell'amante, come la bomba sul bus di Sabotage, Domicile conjugal sembra chiudere questo lungo periodo di studio e devozione da parte di Truffaut nei confronti del suo mito.
 

 

Al tempo stesso il film sembra porsi come cerniera tra quello che il cinema truffautiano è stato sinora e quello che diventerà. Una presa di coscienza, a suo modo ancora divertita e sorniona, che il tempo dei Baisers volés è finito, e forse anche quello delle battaglie critiche. Basta dare un'occhiata ai titoli successivi – dal ritorno al Roché de Le due inglesi all'amore ossessivo di Adele H. o a quello fugacemente impossibile de L'uomo che amava le donne; dall'ultimo Doinel de L'amore fugge all'apertamente luttuoso La camera verde fino ai mélo puri de L'ultimo metro e La signora della porta accanto – per capire come qualcosa sia mutato in Truffaut.

 

Come la passione incandescente per il cinema, la letteratura – coi suoi altarini a Balzac… – e la vita stessa, negli amori dirompenti ma rapidi per le sue attrici, siano improvvisamente diventati da presente il passato. Un passato da ricordare con sentimenti contrastanti, ora con dolcezza, ora quasi con rancore, ora con rassegnazione.

Domicile conjugal mette continuamente in gioco questi sentimenti mutevoli, ancora forse indefiniti, poi cristallizzati nelle opere della maturità. Nella messa in scena della vita di coppia piccolo borghese di Antoine e Christine, nel fondamentale passaggio da figli a genitori, risuona l'eco del matrimonio fallito con Madeleine Morgenstein, a cui gli amori di allure divistica non riescono a porre rimedio. E allora il suo Antoine, personaggio da sempre irriducibile a ogni normativa, fa saltare il banco, con una donna che «non è solo una donna, è un altro Continente!».
 

 

Confessione a cuore aperto delle proprie debolezze, della propria inadeguatezza nel privato alle aspettative altrui, Domicile conjugal è probabilmente uno dei film più sinceri di François Truffaut, che si serve di Jean-Pierre Léaud come corpo alla deriva (un po' come le barchette che convergono fatalmente all'incontro di Antoine con Kyoko), affidando al suo pupillo, un po' figlio, un po' fratello, un po' doppio, il proprio disagio.

 

Antoine che fatica a trovare una posizione comoda per pranzare alla giapponese, seduto a terra; che corre di qua e di là, senza una mèta; che cessa di volere una cosa nell'istante in cui gli viene data (le telefonate alla moglie mentre è a cena con l'amante).In questo tourbillon, in cui il tetto coniugale è una forza centrifuga e respingente, Truffaut inizia a immettere in Antoine Doinel i germi del futuro Uomo che amava le donne, Bertrand Morane, come vedremo a proposito de L'amore fugge.

Qui i biglietti d'amore che sancivano la nascita della coppia di Baci rubati hanno un solo possibile epilogo: Vas te faire foutre.

 

 

Titolo originale: Domicile Conjugal

Regia: François Truffaut 

Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Hiroko Berghauer, Daniel Ceccaldi, Claire Duhamel

Origine: Francia, 1970 Durata: 97'

 

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