Baywatch, di Seth Gordon

Il film recupera la grossolanità greve con sfoggio di anatomia in costumi succinti che il surf movie ha sperimentato nei crossover con la comicità da college come Surf Nazis must die o Surf II

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La serie con David Hasselhoff e Pamela Anderson del 1989/99 sperimentava un tentativo meno banale di quanto lasciassero supporre i blandi intrecci investigativi che la attraversavano (e che vengono ripetutamente presi in giro in questa versione 2017, in cui ai protagonisti viene più volte ripetuto di essere bagnini e non poliziotti): trasporre nel canone del telefilm per ragazzi uno dei prototipi più longevi del cinema da drive-in americano, il surf movie di bande in lotta sulla spiaggia e bellezze da copertina di Playboy che escono dall’acqua.
La riduzione da palinsesto pomeridiano di Endless Summer o I cavalloni, con giusto un briciolo di tensione in più preso in prestito dai reality sui salvataggi in situazione estreme, quello invece un classico catodico USA.
Seth Gordon opera un deciso slittamento nell’immaginario messo in scena, e per il suo Baywatch dei giorni nostri recupera tutta la grossolanità orgogliosamente greve e lo sfoggio di anatomia in costumi succinti che il genere surf aveva sperimentato nel crossover tipicamente eighties con la comicità collegiale più demenziale a anarcoide, in classicissimi come Surf Nazis must die o Surf II.
Insomma le intenzioni non sono proprio estemporanee (produce non a caso il padrino di quella stagione Ivan Reitman), nonostante il risultato finale sia disperatamente innocuo, un po’ come le – sparutissime! – sequenze subacquee del film, talmente tirate via da farci rimpiangere l’evidente piscina in cui Pamela o Hasselhoff si immergevano per i loro atti eroici.

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L’aspetto più interessante dell’intera operazione è l’esplicitata tensione omoerotica che anima il meccanismo del film, non a caso aperto da una scena in cui un membro maschile finisce quasi amputato, in qualche maniera come nell’inarrivabile Piranha 3D di Alexandre Aja che su pretesti simili raggiungeva vette decisamente più folli e astratte.
La vera storia d’amore di Baywatch è chiaramente quella tra il Mitch di Dwayne Johnson e il Brody di Zac Efron, il quale dovrà in ogni maniera dimostrare la propria virilità al capo (anche facendosi fotografare con in mano il pene di un cadavere…) per poterne guadagnare il bacio sulle labbra, dato sottacqua nel momento del salvataggio quando per un istante Brody s’era convinto che a baciarlo fosse l’amata Alexandra Daddario.
Svelamento vertiginoso, come la gag in cui la modella Kelly Rohrbach di fatto assume la posizione “attiva” in un atto sessuale simulato con la spalla comica Jon Bass che stava per soffocare, spinto da dietro a sputare il boccone incastrato.

Con buona pace allora delle prosperità bouncing della bionda Rohrbach e della mora Daddario, il solo vero corpo sessuale di Baywatch è quello di Dwayne Johnson, l’unico al cui passaggio l’intera spiaggia volta la testa come accade nei rivelatori opening credits: ancora una volta fuoco d’artificio fatto uomo del cinema contemporaneo, effetto speciale vivente e trionfo irreale di identità di genere sublimata nella perfezione affermativa della carne (di che sesso è the rock?), la nostra divinità di muscoli ha qui parecchia difficoltà nel confermarsi performer infallibile del mercato dei franchise da far nascere o rinascere.
L’ammiccamento più divertente è forse quello dell’action figure con le fattezze di Dwayne nell’acquario, che cambia posizione e vestiario a seconda delle vicende del protagonista, quasi come il tatuaggio morphing di Oceania.


Titolo originale: id.

Regia: Seth Gordon
Interpreti: Dwayne Johnson, Zac Efron, Alexandra Daddario, Priyanka Chopra, Kelly Rohrbach, Jon Bass, Pamela Anderson, David Hasselhoff
Origine: USA, 2017
Distribuzione: Universal
Durata: 116′

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