Chimera
Il silenzio cinematografico di Pappi Corsicato si chiude sulle sequenze circolari di Chimera, in grottesco girotondo di ellissi temporali, eterno ritorno di un amore impossibile che sembra rigenerarsi continuamente dalle proprie ceneri.
Forse più Fenice che Chimera il destino di Emma e Sal: amanti, ectoplasmi, forse effetti ottici plasmati dalle sapienti mani di Tomas, il prestigiatore. Tre personaggi per raccontare la metamorfosi di una relazione consumata, l'inganno dello sguardo che solo può generare il desiderio, restituire corpo al corpo.
Il "je est un autre" detto da Rimbaud e magnificamente mostrato da Jean – Luc Godard in Nouvelle vague riecheggia fra le pieghe delle inquadrature di Chimera, dirotta i binari della narrazione verso le strade perdute del cinema della modernità. Migrazioni e nomadismi dell'io, perdite di identità.
Fra Lynch, Godard e Cronenberg, Corsicato si avventura in questa roulette che ha come unica posta la (ri)creazione di una tensione, vertigine di una passione, passaggio di energia sotterranea.
Ma il regista de I buchi neri si rivela più architetto di spazi e atmosfere che "artigiano della grazia": Chimera, come lo stravagante Libera, è cine – romanzo di oggetti e parole, non di sentimenti. Corsicato non riesce ad accarezzare i corpi dei protagonisti e sbarazzarsi di un'impalcatura visiva barocca ed esageratamente citazionistica.
Così questo valzer di ombre e illusioni illumina a sprazzi, affascina a tratti, soprattutto quando saltano i registri narrativi – paradigmatica la sequenza dello spogliarello ritmato dai colpi di accensione dell'automobile – e la sceneggiatura sembra "strapparsi" lasciando intravedere un rohmeriano ginocchio, una spalla nuda, qualche centimetro di carne ancora viva e pulsante.
Questa volta Chimera non è contagiante virus d'amore ma solo passeggero raffreddore autoriale.