Donald Trump: da The Apprentice alla Casa Bianca

Dalla missione simpatia degli anni ’90, alla costruzione dello status symbol legato a ricchezza e successo, quanto lo show tv The Apprentice ha influito sulla vittoria di Trump alle presidenziali?

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Businessman, icona mediatica, fenomeno pop. Se fino ai primi anni Novanta Donald Trump era famoso negli Stati Uniti più per le sue imprese fallimentari, lo stile di vita stravagante ed eccentrico,  tutto cambia dal 2004, quando inizia a produrre e presentare la versione americana del reality The Apprentice, che vede i concorrenti gareggiare per un contratto con la sua azienda multimiliardaria. Questo salto dalle semplici comparsate televisive e cinematografiche (Will il principe di Bel Air, Mamma ho perso l’aereo – Mi sono smarrito a New York, Sex & The City), gli è valso addirittura la stella sulla Walk of Fame nel 2007, per il contributo dato alla televisione. E non è certo un caso: Donald Trump ha sdoganato il personaggio del businessman nella cultura pop mediatica, un uomo di successo con il quale non bisogna per forza essere d’accordo, ma che affascina perché da una speranza. Speranza sempre più necessaria alla pancia (vuota) di milioni di americani, che hanno visto forse in Trump un leader forte, potente, discutibile ma carismatico perché di successo (come il nostro fenomeno Berlusconi?). The Apprentice ha aiutato Trump a liberarsi dell’aura di sciocco riccone, dando di lui una nuova immagine di uomo d’affari sicuro di sé e misurato, che sa stringere accordi e non si perde in chiacchiere.
Trump, nell’intro del primo episodio di The Apprentice, mentre viaggia a bordo della sua limousine, si presenta così: “Mi chiamo Donald Trump, e sono il più grande imprenditore immobiliare di New York”. Affermazione non vera, ma che stagione dopo stagione è servita alla costruzione, nell’immaginario pubblico, di una ricchezza smodata e di un savoir faire affaristico con ben pochi rivali, fungendo da vera e propria vetrina mediatica di tutte le imprese e gli averi, dai resort a Miss Universo, fino alla ciliegina della Trump Tower. La creazione, dopo la missione simpatia degli anni ’90, di un vero e proprio status symbol della ricchezza non può non aver innescato nella mente dell’americano medio quella scintilla se non di stima quantomeno di considerazione.
Poco importa se nel corso degli anni la figura di Trump sia stata ripetutamente ridicolizzata, da I Simpson, passando per Alec Baldwin, fino a Takeshi Kitano travestito da Trump sulla tv giapponese. La macchina del successo non si è arrestata, colpendo infine al cuore lo spirito ambivalente dell’America, che ha assunto Trump come 45° Presidente.

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Chissà se Trump, se avesse condotto un The Apprentice-Road to White House, avrebbe mai assunto Donald Trump, con tutte le gaffe, i passi falsi, le pesanti polemiche, o gli avrebbe urlato un sonoro “You’re Fired!”. Di sicuro il reality che ha condotto per ben 14 stagioni (lasciato per concorrere alle Primarie), vero fenomeno mediatico internazionale (che anche noi abbiamo esportato con Briatore), ha fatto guadagnare a Donald non solo floridi introiti, ma soprattutto milioni di spettatori-elettori… l’investimento imprenditoriale della vita.

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