Incontro con Justin Benson e Aaron Moorhead
Tra ulivi secolari, vorticose discese a mare, grovigli di vicoli nei centri storici e inaspettate catacombe, in Puglia, i due giovani registi americani ci hanno visto la propria storia nera e hanno appena finito qui le riprese italiane della loro opera seconda, Spring, prodotta da XYZ Films, per chiudere poi le scene a Los Angeles
Partiamo dal titolo
Justin Benson: Spring? È la rinascita, quella che arriva dopo l’inverno. Confessiamo che ci siamo divertiti a sceglierlo, è singolare che un film horror abbia un titolo così romantico. D’altronde è la storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza con il suo segreto nascosto, ma non manca un certo sottotesto humour.
Che cos'è, cosa sarà, anzi, Spring? E perché l'Italia?
Justin Benson: Resolution era la decostruzione di un’amicizia, Spring, invece, la decostruzione di un amore. E in quest’ultimo caso, il bisogno era quello di mostrare elementi di incontestabile bellezza che viene dai luoghi, dalla costa, dai borghi, dal paesaggio, avendo l’occasione di mischiarli con elementi grotteschi. Una commistione che abbiamo trovato bell’e pronta in Italia. Per Spring, era fondamentale, poi, esprimere l’intersecazione fra l’archetipo, il Mito, e l’horror e qui abbiamo trovato tutto quello che cercavamo.
Resolution era per certi aspetti anche un fllm piuttosto articolato, con diverse linee e tracce narrative. Spring, invece?
Justin Benson: La struttura di Spring è molto simile a quella di Resolution, è una forma di narrazione che prediligiamo ma probabilmente, questa volta, il risultato è più “accessibile”, diciamo più immediato.
Qual'è il vostro punto di vista sull'horror americano contemporaneo, soprattutto su quello indipendente che è anche il vostro mondo?
Aaron Moorhead: Sì, è il nostro mondo, ma ci siamo ritrovati al suo interno quasi per caso, all’improvviso, senza farci troppe domande, senza pensare troppo a quello che è e a quello che non è. Resolution ci ha dato la possibilità di girare molti festival nel mondo, di incontrare persone diverse, dunque di confrontarci con altri punti di vista, molte volte stimolanti e questo è stato importante per noi. Certo è che finora la scarsa considerazione dell’industria rispetto al nostro lavoro, cosa che accade anche a molti altri registi, ha quantomeno favorito la possibilità di poterci esprimere senza subire alcun tipo di pressione o controllo, di poter realizzare le nostre idee in piena autonomia.
Non solo una grande quantità di festival per Resolution, ma anche una distribuzione, per quanto assai esigua, nelle sale americane grazie a Tribeca Film, la diffusione su piattaforme VOD e un DVD. Anche per Spring state pensando a una diffusione su più canali?
Justin Benson: Sarà distribuito nel 2014 anche se non c’è una idea precisa di diffusione, è ancora presto per definirlo, dipende da molti fattori. Ma sarebbe davvero ottimo poter arrivare, almeno potenzialmente, un po’dappertutto, proprio sfruttando circuiti differenti. Comunque, anche in questo caso facciamo molto affidamento sui festival.
Quali sono i vostri riferimenti, chi sono i registi che vi hanno maggiormente influenzato?
Aaron Moorhead: A me piace il buon cinema, che è trasversale ai generi. Ma se ho scelto di fare questo lavoro lo devo anche, ad esempio, ai film di Spielberg, regista che amo molto, così come a parecchio cinema indipendente. I nostri film, in qualche modo, subiscono influenze e ispirazioni diverse, senza essere però semplice copia di quello che apprezziamo o ci affascina come spettatori.
Justin Benson: I registi che amo sono moltissimi, in questo momento mi vengono in mente nomi come Peter Jackson, Danny Boyle, Richard Linklater, ma ce ne sono tanti altri, davvero. Ecco, pensando al cinema italiano, un film per me particolarmente importante, prezioso, è stato La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati. Ma anche le opere di Dario Argento… Direi che l’idea di un horror artistico non potrebbe esserci senza la “scuola italiana”.