inizioPartita. Retrogaming e floppy disk

Il floppy disk: guida ai “nativi digitali” per imparare a riconoscere questo orpello paleo-informatico nato nel 1967 dalla fervida mente geniale di Alan Shugart e in qualche modo ancora in vita

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Cos'è questa strana icona bluette? Qualche "nativo digitale" partorito verso la fine dei '90 spesso arriva a chiederselo...

Cos’è questa strana icona bluette? Qualche “nativo digitale” partorito verso la fine dei ’90 spesso arriva a chiederselo…

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Parecchi software attualmente in commercio, compresi quelli Microsoft, riportano un’icona che ai più giovani, soprattutto quelli nati sul finire degli anni ’90, risulta alquanto enigmatica. Sto parlando del simbolo spesso associato al comando di salvataggio dati (“Salva” o “Salvare” nei menù a scomparsa), che raffigura un piccolo quadrato, talvolta color bluette.

floppy disk da 8 pollici

floppy disk da 8 pollici

In effetti, i più giovincelli (…e forzatamente “nativi digitali”, descrivendoli con un neologismo non del tutto appropriato) non hanno probabilmente idea di cosa siano i “floppy disk” e di cosa abbiano rappresentato per l’informatica di largo consumo, per cui da quell’icona deriva loro un messaggio “muto”, privo cioè degli estremi che ne consentono la decodifica.
Il floppy disk (dall’inglese “disco flessibile”) è stato il primo reale dispositivo di archiviazione dati informatizzati di dimensioni compatte, e quindi facilmente trasportabile. Nati nel 1967 dalla fervida mente geniale di Alan Shugart, ingegnere e fisico dei laboratori IBM, erano degli involucri quadrangolari da 8 pollici, inizialmente in cartoncino plastificato, che racchiudevano un disco interno (di circa 20 centimetri di diametro) costituito da un film ricoperto da una sostanza magnetizzabile; tramite un dispositivo apposito, in grado di effettuare un processo di magnetizzazione sulla superficie del disco, su quest’ultimo potevano essere memorizzati dati in formato binario e relativamente persistente (…almeno fino alla degradazione del materiale di cui lo stesso era ricoperto).

Si trattò di un invenzione rivoluzionaria, dato che una notevole quantità di dati poteva venire racchiusa in un supporto “tascabile”: i primi floppy disk (o più familiarmente “floppy”) funzionavano in sola lettura e venivano usati dalla IBM per caricare codice sulle proprie macchine (le prime furono le System/370), ma dal 1971 cominciarono ad essere commercializzati per l’utenza industriale e si trasformarono anche in supporti “scrivibili”, dato che, successivamente, divennero disponibili sul mercato dei floppy-drive che consentivano sia la lettura dei dati, sia l’eventuale scrittura degli stessi. Qui ci sta un po’ di vanto nazionale, dato che nel 1975 il P6060 della Olivetti, presentato alla fiera di Hannover, fu il primo personal computer ad incorporare questa tecnologia per uso privato.

floppy disk da 5¼ pollici

floppy disk da 5¼ pollici

Con il progresso tecnico della seconda metà degli anni ’70, i floppy da 8 pollici vennero progressivamente sostituiti dai nuovi e più perfomanti dischi da 5¼ pollici, più compatti e certamente più sicuri (dato che una pellicola di un particolare tessuto si frapponeva tra il disco e la custodia esterna, per mantenerlo pulito e per ridurre l’attrito in fase di lettura, in modo da diminuire l’usura della superficie magnetizzabile, e quindi rallentare la degradazione delle informazioni ivi archiviate). Inoltre, potendo essere scritti su entrambe le proprie facce, aumentavano la capacità di archiviazione fino a 1200 Kylobyte.

I floppy da 3 pollici trovarono applicazione pratica solo con le macchine di Amstrad

I floppy da 3 pollici trovarono applicazione pratica solo con le macchine di Amstrad

Essi manifestavano comunque una certa fragilità oggettiva, e Hitachi propose di sostituire l’involucro in cartoncino esterno con uno più resistente in plastica, dando vita ai floppy da 3 pollici che vennero adottati solo da Amstrad per gli home computer della serie CPC 6128, anche per via delle scarse capacità di archiviazione (al massimo 360 Kylobyte).

MFD (impropriamente detti "floppy da 3½ pollici")

MFD (impropriamente detti “floppy da 3½ pollici”)

Ma la strada era tracciata: un altro salto qualitativo venne compiuto da Sony con il brevetto dei suoi MFD (o Micro Floppy Disk), impropriamente e sovente chiamati “floppy da 3½ pollici”, che divennero presto lo standard per gli home computer e per i PC (vennero adottati come sistema di riferimento da Commodore per i sistemi C-128 e Amiga, e da Microsoft per i PC-DOS e PC-Windows): essi presentavano una custodia rigida esterna in materiale plastico quadrangolare di circa 9 centimetri di lato, con all’interno un pacchetto costituito da diversi strati (tessuto – supporto magnetico a forma di disco – tessuto) che svolgevano le medesime funzioni del supporto dei dischi da 5¼, ma con una incrementata capacità di immagazzinamento dei dati (1440 Kylobyte, per le versioni con film magnetizzabile ad alta densità, i cosiddetti HD, cioè High Density).

 

 

 

MFD ED

MFD ED

In seguito IBM propose gli MFD ED (o Micro Floppy Disk Extended Density) con una capacità di 2880 Kylobyte, per i suoi PC modello PS/2, ma, data la scarsa diffusione di questo sistema, non ebbero successo sul mercato; oltretutto vennero commercializzati quando già era nato e si stava imponendo il supporto CD-Rom.

Lo Zip-drive di Iomega, con dischi da 750 MB

Lo Zip-drive di Iomega, con dischi da 750 MB

L’ultimo ritrovato della categoria, in ordine di tempo, è stato lo Zip-drive di Iomega, con dischi che riuscivano ad immagazzinare circa 750 Megabyte di dati (più o meno lo stesso spazio di archiviazione di un CD-Rom), ma il loro successo effimero tramontò con la commercializzazione e diffusione dei masterizzatori casalinghi e dei CD scrivibili.

Si potrebbe pensare a torto che il floppy disk sia una tipologia di supporto di archiviazione dati ormai dimenticata tra gli artefatti paleo-digitali. Ma la cultura del retrogaming dura e pura lo ha rispolverato in tutta la sua ingombrante fisicità (altro che Cloud…), preferendo il collezionismo dei software su supporto originale agli emulatori.

Uno dei dipinti in computer-art di Andy Warhol

Uno dei dipinti in computer-art di Andy Warhol

Tra l’altro, i floppy sono spesso simpaticamente legati a curiose vicende, come i 9 dipinti in computer-art di Andy Warhol eseguiti su Amiga 1000, dal valore inestimabile, dimenticati dopo il 1987 proprio in una serie di floppy e fortunosamente recuperati in seguito, attraverso una lunga e certosina opera di “restauro” informatico. O, per citarne un’altra, la recente notizia che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti risulta costretto a continuare ad utilizzare i dischi da 8 pollici in alcuni sistemi antiquati al momento non sostituibili, che coordinano le funzioni operative delle forze nucleari strategiche della nazione, ovvero i missili balistici intercontinentali di più vecchia concezione, in uno scenario piuttosto inquietante che ricorda a tratti scene da “War Games” e “Terminator 3: Le Macchine Ribelli” (…vi ricordate le basi segrete dentro le montagne con tutta quell’attrezzatura proto-informatica anni ’70?).

Insomma, anche se non li avete conosciuti e sperimentati direttamente, i floppy disk continueranno a dire la loro ancora per diversi anni: mantenere la loro icona nei software utility, collegandola al salvataggio dei dati, ha probabilmente ancora un suo perché! Fatevene una ragione!

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