V Milano Design Film Festival – Il cinema che abita nel pensiero

La quinta edizione del Milano Design Film Festival (19-22/10) si pone al centro del dibattito su dove va il cinema oggi, regalando gemme a sorpresa e aprendo spunti di ricerca e sperimentazione

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Giunto alla quinta edizione il Milano Design Film Festival – svoltosi a Milano dal 19 al 22 ottobre scorsi presso il ristrutturato cinema Anteo (ora chiamato Palazzo del Cinema) – è una intelligente creazione di Antonella Dedini e Silvia Robertazzi, le quali hanno giustamente intuito una dinamica reale del presente in occidente, cioè il modo in cui il cinema sta divenendo sempre più “atteggiamento mentale”, “forma di pensiero”, e non mero “spettacolo”. Alla base del festival ci sono sane voglie di sperimentazione, sana curiosità di illustrare e perlustrare quelle tendenze narrative che vadano oltre il consueto visibile ogni giorno. Ancora più pregnante è l’equilibrio sottilissimo ma rigoroso su cui si regge la voglia di far scoprire queste nuove linee pur non ponendosi completamente in un’ottica di cinema underground, ma restando dentro la riconosciuta forma “industriale” chiamata design. Il design diventa dunque veicolo forte, tramite cui si può sperimentare riuscendo comunque a comunicare col grande pubblico. In questo esso assolve una funzione eminentemente cinematografica. In 4 giorni sono stati selezionati 50 e più film dalle curatrici del festival (l’encomiabile lavoro di Porzia Bergamasco è stato certosino).

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Partiamo subito dal piccolo ma potente ritratto In un bicchier d’acqua, fatto da Francesco Clerici su Gillo Dorfles (e prodotto dallo stesso festival), lavoro che veramente accarezza con tenerezza e paura di non scalfire la delicata superficie vitale del vecchio maestro. Di Dorfles sentiamo a lungo la profonda, affascinante voce fino a quando il regista non ne inquadra il volto con un semplice stacco non preparato, in modo assolutamente leggero e minimale. La tendenza a ridurre, a sintetizzare (e si parte da un bicchiere d’acqua che lo stesso Dorfles indica ormai come personaggio – forse invisibile -), inquadrando oggetti di una vita, angoli di un piccolo appartamento ch

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22384111_900973056731789_1707193379313637947_oe ricorda uno scrigno, porta a una estensione di senso del rappresentato che colpisce e fa riflettere su una dimensione di vita che diventa storia di un pensiero. In un festival di design la forma appartamento diventa ovviamente centrale, e l’abbiamo ritrovata in moltissimi dei film visti. Per esempio nel pregevolissimo lavoro di Volker Sattel La cupola, riguardo la mitica casa al mare di Antonioni e Monica Vitti in Sardegna. Il film riesce mirabilmente ad essere esatto in ogni suo punto, sia nell’equilibrio degli spazi, tra vuoti e pieni, sia nella forma cinema che si pone esattamente tra movimento e stasi, di camera, di montaggio, di audio, con eccezionali momenti di sospensione antonioniana quando vengono inquadrati protagonisti come le onde sui frangenti o le linee curve del tetto.

Mentre per esempio abbiamo faticato ad amare il lavoro Delightful di Matteo Garrone, sugli appartamenti senza pareti. Il lavoro (su commissione proprio del Salone del Mobile) resta purtroppo una bella idea ma distante. Incute certamente stupore fiabesco, come nelle corde del regista, ma resta di maniera, con la paura che il nome del regista inizi veramente a pesare troppo sulla poetica. Stesso problema riscontrato nel piccolo corto di Gianni 22688905_906389862856775_4083483822400873987_nAmelio Casa d’altri, prodotto da RAI Cinema, sull’assenza di casa comportata dall’immane tragedia del terremoto ad Amatrice, in cui purtroppo riscontriamo un grave problema di controllo dell’idea, facendoci restare molto poco convinti di ciò che vediamo, non per ciò che vediamo ma per come viene mostrato. Problema che, riguardo lo stesso tema, non si pone del tutto durante la splendida visione del lavoro Ricominciamo di Alessandro Scotti e Giacomo Traldi per Donna Moderna. Una creazione ragionata e paziente in cui, lavorando principalmente con fotografie (poi sapientemente montate) e una puntuale capacità di sintetizzare, è stato possibile ridare al massimo sia il problema che il lavoro di soluzione al problema (sia essa una ricostruzione o ancora meglio una riconsiderazione come indicato da Stefano Boeri). Tornando alla forma appartamento segnaliamo con piacere il delicato lavoro di Anna Pitscheider Spring of Water, che apre le porte di casa propria a Goa sapendo cogliere la poesia di una vita che cresce in simbiosi con una ambiente che, veramente in modo materno, abbraccia la casa filmata, nei suoi spazi aperti (inclusa la doccia) e nei suoi attimi più intimi. Il tema natura viene raccontato anche dal bellissimo Monte Inferno di Patrizia Santangeli che seppur sgrammaticato riesce a toccare il cuore in modo potente, raccontando della discarica di Borgo Montello, e toccando una mirabile vetta nel momento in cui mostra don Luigi Ciotti, personaggio tanto vero quanto onestamente fuori delle regole. Il lavoro sullo spazio viene poi rappresentato dalla piccola gemma Il pleut dans le tunnel di Federico Brucia e Federico Pepe che giocano con la contraddizione di un tunnel in cui piove dentro ma che, secondo noi, riescono ad andare oltre il gioco per ridare una sensazione di sogno inaspettata e affascinante.

Ma ancora di più viene veramente “creato” dall’eccezionale 2+2=22 di Heinz Emigholz, la cui saggezza ed esperienza cinematografica andrebbe veramente insegnata nelle scuole. Il regista riesce a raccontare le vie di Tblisi cogliendone l’energia, grazie a idee di regia quali la sovrapposizione in montaggio delle proprie pagine di diario, l’uso della straniante voce fuoricampo, e soprattutto il lavoro sulla musica dei Kreidler, che diventa protagonista assoluta e forza agente sul ritmo, in modo da tale da totalmente riempire i vuoti, sia al chiuso che all’aperto.
Si può dire che è chiara la sensazione di crisi della struttura narrativa in questo momento, e la conseguente fervida messe che si può raccogliere da un tempo così pregno di senso nella sua dicotomia tradizione/innovazione. Il design si riesce quindi agevolmente a porre nel centro del dibattito, e pone Milano a guisa di nodo di un passaggio culturale che potrebbe essere veramente importante per il nostro futuro. Non è un caso che durante il festival si sia tenuta, tra le varie, un’importante tavola rotonda sulla pubblicità per parlare di come continuare a vendere, senza per forza usare i modi conosciuti. Questo discorso porta al rapporto con la committenza, chiaramente centrale. Si segnala a riguardo comunque il veramente notevole lavoro 5 mètres 80 di Nicolas Deveaux, bellissima pubblicità sull’uso della nuova piscina di Les Halles a Parigi.

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