VENEZIA 60 – "Segreti di stato", di Paolo Benvenuti (Concorso)
Un vero cinema dell'imbalsamazione quello di Benvenuti, di sicuro rigore formale, ma quel rigore che fa sempre rima con grigiore, che si nega ogni movimento per addensare l'immagine di filmati documentari, disegni, fotografie di immagini-figurine
I frammenti del cinema cronachistico-processuale dentro i set spogli del cinema di Paolo Benvenuti. Segreti di stato, accolto tra consensi e polemiche alla Mostra di Venezia, ricostruisce gli episodi determinanti accaduti durante la strage a Portella della Ginestra, in Sicilia, il 1° maggio 1947 dove ci furono 11 morti e 27 feriti nel corso di una Festa del Lavoro. Venne subito indicato un colpevole che corrispose al nome di Salvatore Giuliano, il bandito che fu trovato misteriosamente morto qualche anno dopo. Ma un avvocato, durante il processo che si tenne a Viterbo nel 1951 contro la banda Giuliano (tra cui il suo luogotenente Picciotta) non fu convinto dei risultati dell'indagine e ne aprì segretamente un'altra su come andarono veramente i fatti. Il celebre bandito siciliano, già protagonista del sempre troppo celebrato omonimo film di Rosi del 1962 e del bellissimo e sempre troppo poco celebrato film di Michael Cimino del 1987 , resta quasi situato nell'ombra mentre viene dato particolare rilievo alla figura di Picciotta, di cui viene messo in luce il suo comportamento durante il processo, i suoi dialoghi con l'avvocato e la sua fine, avvenuta una mattina nella propria cella dopo che aveva bevuto un caffè; in realtà gli erano stati scambiati i medicinali. Segreti di stato prosegue sulla linea di un film che diventa accumula fatti, documentazioni (dalle testimonianze raccolte dal sociologo Danilo Dolci, ai documenti della Commissione Parlamentare Antimafia e soprattutto a quella contenuta negli archivi dell'Office of Strategic of Washington). Emergono così le figure di uomini potenti appartenenti alla chiesa, al governo statunitense e a quello italiano, tra cui l'allora ministro dell'interno Mario Scelba.
La ricerca esasperata dei fatti, la minuziosa ricostruzione degli avvenimenti fanno di Segreti di stato un'opera di estrema precisione chirurgica ma senz'anima. Se nei film precedenti di Benvenuti, da Confortorio al più recente Gostanza da Libbiano questa tendenza a chiudere i personaggi, quasi con atteggiamento "dreyeriano", dentro gli spazi stretti e oscuri aveva comunque una sua coerenza formale, in Segreti di stato questo metodo di Benvenuti contrasta con un'opera che si riempie, come è necessario per il cinema di impegno civile, di dialoghi sovrabbondanti che non consumano mai i personaggi ma li lasciano sempre, rigidi e statuari, al proprio posto. Se narrativamente e politicamente il film può servire a riaprire un fatto rimasto comunque nell'oscurità e nell'oblio degli incartamenti giudiziari, da un punto di vista visivo, come il sopravvalutato Il mestiere delle armi di Olmi, i personaggi sono già come mummuficati, figure già morte che non riprendono mai più vita. Un vero cinema dell'imbalsamazione quello di Benvenuti, di sicuro rigore formale, ma quel rigore che fa sempre rima con grigiore, che si nega ogni movimento per addensare l'immagine di filmati documentari, disegni, fotografie e le immagini-figurine dei volti delle più importanti personalità che, direttamente o indirettamente, sembrano essere le protagoniste della strage di Portella della Ginestra. La coerenza formale di Benvenuti, la severità e la rigidità del suo sguardo e la densità narrativa e materica del film non riapre cicatrici, non riallarga la memoria, ma lascia quei personaggi, quelle figure, definitivamente, nelle loro tombe.