#Venezia75 – Isis Tomorrow. Incontro con Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi

Dopo la presentazione di Isis Tomorrow, The lost souls of Mosul, Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi incontrano la stampa. Il film è selezionato Fuori Concorso al Lido

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Un anno e mezzo, con ben dieci viaggi a Mosul a partire dal 2016, è il tempo che hanno impiegato Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi per realizzare Isis Tomorrow. The lost souls of Mosul, un progetto complicato da portare avanti e completato con la fiducia che dalla visione il pubblico potesse sentire l’esigenza di riflettere sulle conseguenze della guerra, fisiche e psicologiche, in un paese come l’Iraq devastato prima dal conflitto e poi dall’odio che dal conflitto si è generato e non sembra avere fine. Facendo luce su quelle realtà l’intento è di scavare nelle strutture disumane emerse dalle lacrime e dal sangue versati su una terra martoriata, assumendo un punto di vista che ne faccia conoscere le voci dimenticate, che sono spesso le più soggette a ritorsione. Il film è a Venezia, Fuori Concorso. Abbiamo incontrato gli autori al Lido.

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“Questo progetto nasce da un’esigenza umana e professionale e si occupa soprattutto di donne e bambini, raccontati dentro tali contesti sempre come vittime. Noi al contrario ci siamo trovati davanti un discorso pieno di sfumature, che non ribalta il quadro iniziale, ma lo complica e lo rende meno scontato. Le donne ad esempio sono dipinte come succubi, non coinvolte nella struttura gerarchica dell’organizzazione, mentre al contrario rappresentano il futuro della stessa. L’enorme pressione che riescono ad esercitare nel quotidiano sui bambini, tra le mura domestiche, le rende loro malgrado dei reclutatori eccezionali.” dichiara Francesca Mannocchi. “Mi sono sentita molto scomoda nella veste di madre, nel confronto con altre donne anch’esse madri di bambini a volte mutilati dalle bombe o ciechi a causa di un’esplosione. Mi sono fatta delle domande.”

Gli altri protagonisti del documentario sono i bambini nati con il marchio dell’infamia di appartenere a famiglie legate alle milizie jihadiste sconfitte durante l’offensiva di Mosul,condannati dalla sconfitta alla perdita di qualunque diritto, e privati fin da piccoli di uno status di innocenza che dovrebbe essere la regola ma le cui tracce sono difficili da rintracciare. Bambini influenzati da un’ideologia radicata in profondità e mossi da una forte volontà di vendetta per onorare la memoria di un padre, di una madre, di un fratello, per trasformarsi anche con il sacrificio della vita in uno di quei martiri che considera la morte come prima opzione per il futuro e di gran lunga la più onorevole, in un paese che stenta a ritrovare sotto le macerie un’identità di popolo. Con delle ferite che né un debole stato iracheno, né la comunità internazionale sembrano intenzionati a guarire.

Comincia Alessio Romenzi: “Nei video diffusi dall’Isis si vedono dei bambini armati, noi abbiamo cercato di far emergere le ragioni che li motivano.” Continua Francesca: “I ragazzi hanno la compresione di una circolarità storica, hanno la consapevolezza che adesso sono in una fase di bassa marea ma, come ha confermato il discorso diffuso da Al Baghdadi pochi giorni fa, a fronte di una perdita territoriale la portata ideologica del messaggio continua ad esistere. Senza scuole e strutture è difficile ricostruire uno stato. Uno dei ragazzi intervistati è nato l’anno dopo l’occupazione militare, ha conosciuto solo la guerra. Adesso il suo eloquio è frutto di una grande complessità, è un reclutamento già riuscito. Il martirio per questi ragazzi rappresenta una occasione per il futuro, il modo migliore per passare a miglior vita.” Senza privilegiare nessuna delle parti in campo, il film si riserva di raccontarle entrambe. La situazione irachena attualmente è disastrosa. “Tra le fila dell’Isis una volta si contavano 400 miliziani, ora sono non meno di 30000. Il califfo è vivo, richiede pazienza e determinazione. L’Isis ha lasciato un arsenale non di armi ma di ragazzini, che cresceranno. L’Iraq tra dieci anni in proiezione potrebbe essere anche peggiore di come è adesso.”

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