15/6/2005 – Autori: la nuova legge cinema non ci aiuta

Luchetti: elementi positivi ma anche rischi

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"La nuova legge è monca perché non affronta i problemi strutturali della nostra industria audiovisiva". E' questa l'opinione più diffusa tra gli autori cinematografici, preoccupati soprattutto dall'invadenza della televisione e da un eccesso di reference.

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"Personalmente sono deluso – dice, sul Giornale dello Spettacolo, Guido Chiesa -. Il provvedimento approvato è un esempio di liberismo applicato ad un cinema senza capitali. Il reference è un sistema molto discutibile, il risultato più evidente della nuova legge è che si faranno meno film: non mi pare una prospettiva allettante".
Anche per Emidio Greco il problema della nuova legge è che non affronta i problemi alla radice: "teoricamente offre qualche aiuto alla produzione, ma di fatto si tratta di un intervento depotenziato in partenza dal fatto che le risorse a disposizione sono pochissime e insufficienti e il mercato a cui si fa riferimento non esiste. Quindi i film che si potranno produrre saranno solo ed esclusivamente quelli assistiti da Rai e Mediaset. Per il cinema italiano serve una legge di sistema".
Su quest'ultimo concetto insiste anche la regista Wilma Labate: "il meccanismo diabolico messo in moto dalla nuova legge consiste in questo: un provvedimento, che nelle dichiarate intenzioni avrebbe dovuto liberare il cinema italiano dalla schiavitù televisiva, ha prodotto come risultato il fatto che i film non si possono realizzare senza l'intervento di una rete tv. Inevitabilmente ne risulteranno pellicole di stampo sempre più televisivo. Di fatto l'impossibilità di raccontare il mondo e la realtà che ci circonda. Entrando poi nello specifico della legge ho l'impressione che il meccanismo individuato determinerà la progressiva sparizione dei produttori indipendenti".
"E' un provvedimento – fa eco Enzo Monteleone – che garantisce i più forti, che non si preoccupa della ricerca, del cinema d'autore, della qualità, tutte cose che dovrebbero essere alla base dell'intervento pubblico. Fa un po' ridere la motivazione secondo cui selezionando in maniera più rigorosa si elimineranno gli sprechi: nell'università, come nel calcio, nella ricerca e nei vivai, si investe su cento per far emergere dieci. Il cinema non fa eccezione".
Per rilanciare il cinema italiano, secondo Pasquale Squitieri, "ci vuole ben altro: personalmente sono contrario per definizione al cinema di Stato. I grandi successi della nostra cinematografia vengono tutti dai produttori privati, che oggi, a parte un paio di eccezioni, non esistono più. Ed allora servono provvedimenti innovativi come detassazione e tax shelter. Quanto allo Stato dovrebbe cavalcare una rivoluzione che è già cominciata: il digitale. Oggi il cinema italiano costa troppo rispetto al mercato che ha a disposizione e il digitale potrebbe aiutare".
Non per tutti il giudizio sulla legge cinema è completamente negativo. Il regista Daniele Luchetti individua alcune novità importanti come la possibilità di un confronto con la commissione incaricata di gestire il Fondo di Garanzia: "il fatto che regista e produttore possano illustrare direttamente il proprio progetto aiuta la comprensione e la selezione. E' un grande passo avanti. Ma avverto il rischio che la nuova legge possa finire per finanziare solo i film già finanziati sul mercato e non mi convince affatto il reference applicato ai collaboratori, direttori della fotografia, montatori, scenografi e quant'altro. Si tratta di un sistema che rischia di bloccare per sempre l'accesso alle professioni".

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