3 metri sopra il cielo, di Luca Lucini

Questo è un film di interesse culturale! Siamo dunque certi di essere in presenza di un film di valore. Proviamo dunque a capire di quale valore si tratta e in base a quale criterio di “interesse culturale” la commissione ministeriale lo ha inconfutabilmente stabilito.

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Un cartello prima dei titoli di testa ci informa che questo è un film ufficialmente riconosciuto (e dunque sovvenzionato) dallo Stato Italiano come “di interesse culturale”. Siamo dunque certi di essere in presenza di un film di valore. Proviamo dunque a capire di quale valore si tratta e in base a quale criterio di “interesse culturale” la commissione ministeriale lo ha inconfutabilmente stabilito.

Un criterio potrebbe essere che trattasi di film la cui sceneggiatura finita sui tavoli della suddetta commissione è desunta da un romanzo di Federico Moccia ripreso da Feltrinelli dopo una prima edizione romana circolata nell’Urbe come un cult (!) della “X-generation” borgatara. Un libro è comunque un oggetto di cultura, dunque il film che se ne ricava non può che avere un interesse culturale.

Un secondo criterio potrebbe essere che a tradurre il romanzo in sceneggiatura ci ha pensato lo stesso Moccia, il quale ha in curriculum un’ingente esperienza televisiva, fatta sul campo di opere come I ragazzi della terza C e College e nel pensatoio di “Domenica In”, dunque a stretto contatto con l’interesse culturale dell’altissima e coltissima televisione che questo nostro grande paese si ritrova.

Un terzo criterio potrebbe essere che il regista designato ha il nome dell’esordiente Luca Lucini, nel cui curriculum professionale la commissione ministeriale ha potuto leggere che trattasi di regista di videoclip e di spot pubblicitari (da Ligabue a Sanbitter, da Laura Pausini a Tim) e dunque ha un “background” consono all’interesse culturale di un Paese che annovera tra i suoi pensatori più accreditati figure come Michele Cucuzza, Platinette, Taricone e come modelli di riferimento le Veline e i calciatori.

Insomma, confortati da tutto ciò, ci affidiamo alla visione di 3 metri sopra il cielo, riflettendo en passant sul fatto che il titolo sarebbe perfetto per una canzone della suddetta Pausini da portare al prossimo Sanremo diretto da Tony Renis (sempre che non venga subitaneamente sostituito in base a rinnovati interessi culturali, come accaduto a Venezia, in questi anni di buon governo, prima a Barbera e poi a De Hadeln). Ma il film è ormai lì, che scorre sotto i nostri occhi, dunque ci sforziamo di concentrarci, nonostante la giornata faticosa che abbiamo alle spalle, per non perdere il filo culturale dell’interesse che suscita in noi la storia di Babi e di Step, innamorati a 3 metri sopra il cielo della Roma bene che attraversano col loro batticuore e le loro ragazzate. Lei è tanto carina e intelligente che potrebbe fare la Velina, ma i suoi voti a scuola si abbassano drasticamente perché il destino le ha messo sulla strada Step, centauro di buona famiglia ma modi cattivi, tanto carino pure lui, ma un po’ arruffato e con l’aria da aspirante al ruolo del truce nel “Grande Fratello”, il quale brucia la sua gioventù tra la rabbia di aver scoperto mamma a letto con un giovanotto, un papà becco che gli parla del suo futuro e un fratello imprenditore che dovrebbe tenerlo a bada mentre pensa a fusioni e studia da imprenditore.

Indubbio che il nostro interesse, a contatto con questa rappresentazione verace della rabbia giovane, si accenda culturalmente, tanto più che ad aiutarci ad entrare nella psicologia dei protagonisti c’è il controcanto narrativo della voce fuoricampo di un DJ radiofonico che si profonde in liriche prolusioni sulla musica come colonna sonora della nostra vita e sui sentimenti e la filosofia della “MTV Generation”. Confessiamo che il nostro interesse culturale è un po’ calato quando Babi e Step hanno disteso i 3 metri sopra il cielo del loro amore sul letto di un castello in riva al mare di Ostia, per celebrare la prima volta di lei tra candele accese e languide e pudiche carrellate sui loro corpi frementi, ma non perché il sesso in sé sia poco culturalmente interessante, quanto perché abbiamo improvvisamente pensato a quei bravi genitori andati al Warner Village più vicino a casa per vedere come vivono la loro gioventù i pargoli che stanno crescendo. Ma poi ci è tornato in mente d’aver sentito in libreria una professoressa che chiedeva il libro di Moccia dicendo che gli era stato raccomandato come manuale utile a capire la gioventù odierna, e allora ci siamo rasserenati e, come contribuenti, abbiamo considerato quanto ben spesi siano i nostri soldi se servono a sovvenzionare operazioni come questa, che magari daranno l’agio a quella professoressa di portare una mattina al cinema i suoi studenti (ai quali avrà magari pure fatto rileggere il libro), per parlare poi del loro futuro e dei loro valori. Se questo non è “interesse culturale”, ditemi voi allora qual è…

Regia: Luca Lucini
Sceneggiatura: Federico Moccia, Teresa Ciabatti dal romanzo omonimo di Federico Moccia

Fotografia: Manfredo Archinto

Montaggio: Fabrizio Rossetti

Musiche: Francesco De Luca, Alessandro Forti

Scenografia: Marco Belluzzi

Costumi: Sabina Maglia
Interpreti: Riccardo Scamarcio (Step), Katy Louise Saunders (Babi), Mauro Meconi (Pollo), Maria Chiara Augenti (Pallina), Claudio Bigagli (Claudio), Giulia Gorietti (Daniela), Galatea Ranzi (Raffaella), Alessandro Prete (Siciliano), Valentino Davio (Schelmo), Adriano Modica (Bunny)
Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz, per Cattleya
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 101′
Origine: Italia, 2004

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