MOVIEGAMES – Gangsta rap e violenza

Fino a dove può arrivare la violenza nei videogiochi? E' la domanda che suscitano due violentissimi nuovi videogiochi ambientanti nel mondo delle gang urbane metropolitane: "Crime Life: Gang Wars" e "50 Cent Bulletproof".

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Il mondo delle gang urbane, della violenza e della criminalità, del machismo esasperato, delle rime baciate e del linguaggio sessista è raffigurato in maniera diversa ma con esiti non molto differenti in due recenti giochi: Crime Life: Gang Wars (Hothouse/Konami/Halifax per Ps2, Xbox e Pc) e 50 Cent Bulletproof (Sierra/Vivendi Universal per Ps2 e Xbox).

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Con Crime Life siamo di fronte ad una sorta di picchiaduro ambientato nel mondo tridimensionale e complesso di una metropoli. Impersoniamo un ragazzino che vuole unirsi alla gang del quartiere, gli Outlawz, e per far questo deve superare un rito d'iniziazione: battersi con il campione, Furious. Superata la prova, che ci serve anche per impratichirci coi comandi e con le prime elementari combo, cominciano i compiti: distruggere la villa di chi chiede affitti troppo alti ai "fratelli", suonarle di santa ragione a chi non rispetta le donne del quartiere, rimettere al loro posto le gang rivali, ecc. Il tutto in un contesto che può ricordare gli ultimi Grand Theft Auto ma con enormi limitazioni. Non si possono intanto utilizzare i veicoli e tutta la strada da fare per svolgere le missioni dovremo percorrercela a piedi, o al massimo in metropolitana, con il rischio di venire intercettati da squadre di gang rivali e coinvolti in una rissa. Conseguenza di ciò è che l'area di gioco è anche immensamente minore rispetto a GTA. Assieme a noi potremo avere degli alleati (di cui dovremo monitorare la salute, ripristinabile mediante il consumo di cibo), ma comunque resterà sempre a noi l'onere di decidere le sorti dei combattimenti mediante le combo. L'obiettivo finale quello di far primeggiare la nostra gang e di diventarne il numero uno. Il tutto ovviamente con un sottofondo di gangsta rap di vari gruppi, sia statunitensi che europei. Il problema maggiore di questo gioco è la povertà grafica: la desolazione degli slum in cui vive il nostro protagonista viene riflessa nella approssimazione della loro resa grafica e l'unico aspetto in cui si può notare una certa cura è nei movimenti ed in particolare nella camminata dei personaggi. Certo, quando il nostro va a fare razzie nei quartieri bene troviamo non solo cemento ma anche giardini e refurtiva (e guardie), nelle case in cui potrà introdursi. Ma il tutto rimane comunque ad un livello di mera sufficienza. Non molto migliore però il gameplay che prevede combattimenti – con la possibilità di rubare armi bianche ai nemici caduti o di rifornirsi direttamente in strada di assi e bastoni – per lo più caotici e ripetitivi, potendo contare sulle uniche varianti delle brutali fatality da effettuare sui nemici storditi. Un'altra necessità è quella di sfuggire alla polizia che ci darà la caccia con sempre maggior ardore man mano che salirà il nostro livello di "pericolosità". Normalmente il problema nei combattimenti non è tanto l'avversario di turno, quanto l'improvviso moltiplicarsi degli stessi – sia si tratti di membri di gang rivali sia invece ci si trovi di fronte alle forze dell'ordine – che, se gliene daremo la possibilità, ci circonderanno senza lasciarci scampo. Ecco allora che ci troveremo nella necessità di agire strategicamente per affrontare sempre nemici singoli o in numero limitato. Aiuto lo otterremo anche dalle combo che apprenderemo ogni volta che riusciremo a compiere una missione.


Con 50 Cent Bulletproof le cose in alcune casi migliorano, mentre in altre peggiorano. La grafica sicuramente è migliore, specialmente nella definizione dei personaggi e delle ambientazioni, anche se poi i livelli di gioco – che rappresentano ambienti di New York, casa del rapper compresa – sono molto più limitati e l'"arredamento" è molto più scarno rispetto a Crime Life in cui, a dispetto dell'aspetto sciatto, le abitazioni e i negozi in cui riusciremo ad entrare sono pieni di oggetti che è possibile prendere e rivendere al ricettatore di fiducia. Lo scenario è solo limitatamente interattivo: alcuni oggetti possono essere spostati, alcuni pulsanti premuti ed alcune porte aperte ma esclusivamente quelle funzionali al proseguimento del gioco. Che è uno sparatutto in terza persona in cui noi impersoniamo il nerboruto 50 Cent che deve eliminare assieme ai suoi soci Lloyd Banks, Young Buck e Tony Yayo bande di criminali armate fino ai denti. E di criminali da eliminare ce ne sono davvero parecchi, complice il respawn continuo: dopo aver ucciso tutti i nemici di un livello non abbiamo che pochi momenti di respiro prima di trovarcene di nuovo circondati. Evidentemente i programmatori hanno voluto dare al giocatore la sensazione di una minaccia continua, di una lotta senza quartiere e senza – appunto – respiro contro nemici che ci assalgono in continuazione. A parte la telecamera che con la sua eccessiva mobilità è più adatta ad un action-adventure che ad uno sparatutto rendendo improbo prendere la mira per di più contro avversari che non stanno mai fermi, la difficoltà causata da questa frequenza di respawn è evidentemente stata giudicata eccessiva ed il protagonista è stato affiancato da tre compagni che non solo eseguono di volta in volta compiti specifici come scassinare serrature o piazzare esplosivi ma ci danno man forte ad eliminare i nemici e per di più – a differenza del nostro 50 Cent – non soffrono danni se vengono colpiti. Ciò porta però al paradosso che, piuttosto che impegnarci ad eliminare i nemici, è strategicamente più conveniente lasciare ai nostri pard il compito di coprirci le spalle e occuparci principalmente di completare l'obiettivo assegnatoci. Questo perlomeno laddove i livelli sono maggiormente "aperti" e non prevedono percorsi articolati da compiere, stravolge l'impostazione da sparatutto del gioco e la cosa avrebbe anche potuto rivelarsi interessante se – nonostante la presenza nei credits di Terry Winter, già vincitore di un Emmy Award per i Sopranos – gli obiettivi andassero oltre al mero trovare di volta in volta l'uscita dal livello più o meno mediata dal reperimento di oggetti o dall'attivazione di macchinari. In compenso, proprio come in Crime Life, c'è la possibilità, arrivando vicini ad un nemico che non abbia pronta la contromossa di difesa, di far scatenare il 50 Cent virtuale in una violenta e sanguinosa fatality in cui accoltella, eviscera o squarta il malcapitato a tiro. Il maggior interesse del gioco allora sembra stare, più che nel gameplay, nella possibilità d'impersonare il rapper e d'incontrarne virtualmente altri (Eminem e Dr. Dre) ma soprattutto di ascoltare le oltre 8 ore di commento musicale composto da oltre 150 canzoni di 50 Cent e soci e di sbloccare i video musicali presenti che, nel puro stile rap, contengono immagini sessiste di giovani donne molto poco vestite.


In conclusione, se 50 Cent Bulletproof è sicuramente dotato di una grafica migliore, di un comparto sonoro (se vi piace il genere) inarrivabile e di un gameplay maggiormente accattivante e di immediata presa anche se, come abbiamo visto, tutt'altro che perfetto, in compenso Crime Life si dimostra maggiormente vario e più ricco di elementi di sfondo che lo rendono maggiormente realistico. In entrambi la rappresentazione, anzi l'esaltazione della violenza, raggiunge livelli parossistici. Con l'aggravante di una sostanziale mancanza per essa di giustificazione. Pure in alcuni dei giochi più violenti visti fino ad oggi: Manhunt, Mortal Kombat, Carmageddon, Postal2 l'esibizione efferata della violenza era in qualche modo mediata dalla trama, dalle situazioni di gioco. In Manhunt il protagonista ha la necessità di esibirsi in esecuzioni spettacolari per registrarle in uno snuff movie la realizzazione del quale gli garantirà la sopravvivenza. In Mortal Kombat le fatality richiedono tempismo ed un complesso uso delle specifiche combo. In Carmageddon l'investimento dei pedoni è finalizzato alla raccolta di tempo supplementare per concludere la corsa. In Postal2 la brutalità eccessiva del protagonista è compensata dalla non meno esagerata reazione di chi gli sta attorno. In più, negli ultimi due titoli, la violenza è sempre – sia pure in modo grottesco e di cattivo gusto – unita ad un'ironia che in qualche modo la trasfigura: le uccisioni multiple o spettacolari del primo (quando nella realtà in tali incidenti il guidatore sarebbe il primo a morire) o l'utilizzo di un gatto come silenziatore per un fucile, la possibilità di usare il pene come un lanciafiamme o altre amenità consimili nel secondo potranno renderli sgradevoli ma non hanno un impatto shockante sul giocatore medio. Al contrario in Crime Life e 50 Cent Bulletproof la violenza è puro scoppio d'ira, non finalizzato neppure a sconfiggere un nemico già a terra. Non è neppure, come in MK, una sfida d'abilità per il giocatore: basta la pressione di un pulsante quando si è nella posizione opportuna (in Crime Life il momento adeguato è addirittura segnalato a schermo con l'indicazione del tasto da premere) per far partire la sequenza animata. Occorre fare attenzione, perché come mostra bene l'ultimo Cronenberg (autore che non si può certo tacciare di moralismo), A History Of Violence, la violenza è contagiosa. Con ciò non si vuol dire che chi scrive è a priori contro la rappresentazione della violenza nei videogiochi o nei film, ecc., quanto piuttosto che se essa non è in qualche modo sublimata dal testo/contesto, diventa una sorta di ente autogiustificantesi, una sorta di virus che si propaga per imitazione e reazione. E' inoltre questo uno dei motivi per cui non convince la teoria degli studiosi di videogiochi riuniti sotto i game-studies per cui la narratività non abbia nulla a che fare con i videogiochi (una discussione tra il sottoscritto ed un eminente esponente di tale scuola può essere letta a partire dai link presenti in calce). Se la violenza viene espressa come puro gioco allora avrebbe ragione chi critica i videogiochi accusandoli di educare alla violenza (ad esempio il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che con questa motivazione ne ha banditi alcuni) ma se – proprio come in un film – la violenza viene inserita in un contesto, che può essere e che spesso è narrativo, allora tale violenza serve per parlare di qualcosa, serve per illustrare e spiegare, ed in quanto tale non ha nulla di diseducativo. Pensiamo ad una delle sequenze che il sottoscritto considera una delle più violente di tutto il cinema: l'assassinio della bambina all'inizio di Distretto 13 le brigate della morte di John Carpenter. Nulla di quanto abbiamo potuto vedere nella parte del film che precede la sequenza può giustificare tale atto compiuto a freddo e in quanto tale assolutamente sconvolgente. E assolutamente sconvolgente rimarrebbe se l'episodio rimanesse avulso da un qualsiasi tipo di narrazione. Al contrario nel film esso diventa il motore scatenante di tutta la narrazione della vendetta da parte del padre e poi dell'assalto della gang assassina al Distretto 13 dove egli ha trovato rifugio. Viceversa nei due giochi qui presentati la violenza rimane appunto avulsa da qualsiasi narrazione/contesto e come tale è un grido fastidioso che si è tentati di cancellare con un urlo ancora più forte, un pugno virtuale che istiga a reazioni meno virtuali. E così via. Come sa bene il cronemberghiano Tom Stall, la violenza è facile da far iniziare ma estremamente difficile da far terminare.

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