VENEZIA 64 – "Andarilho", di Cao Guimaraes (Orizzonti)

ANDARINHOIl giovane Guimaraes compila una sinfonia del Nordeste brasiliano e dei suoi clochard, una contemplazione tesa e allucinata delle sue durezze che però rimane troppo pacificamente adagiata sulle proprie ambizioni estetizzanti
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ANDARILHOIl poverissimo Nordeste brasiliano, reso leggendario da parecchie pellicole del Cinema Novo (Glauber Rocha in testa), vede gironzolare sul proprio territorio parecchi vagabondi che vivono perlopiù raccogliendo quello che capita. Questo documentario con ambizioni liriche del giovane Guimaraes segue alcuni di loro, cercando di ricreare un’atmosfera senza tempo, bloccata in un’allucinazione incorrotta, a forza di giochi di luce, di fuoco, di colori, di ristagno del tempo…

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Purtroppo però questo approccio accanitamente descrittivo si rivela statico anziché monumentale, povero anziché ascetico, pomposo anziché rigoglioso. I monologhi a ruota libera del clochard che apre e chiude il film “bucano” ben presto lo schermo e calamitano potentemente l’interesse, ma Guimaraes preferisce concentrarsi sul paesaggio, sulla suggestione, sullo sfavillio sensoriale immobile e ieratico della terra.

E invece avrebbe dovuto ascoltare di più il suo folgorante e improvvisato attore. I suoi sproloqui sono in realtà una disquisizione teologica impeccabile, con il loro ossessivo insistere sulla scissione mai rimarginabile tra Dio e un imprecisabile Spirito che attraversa sottopelle tutto il visibile. Una tensione perpetua che Guimaraes bellamente ignora perché si accontenta di affastellare sinistre e inquietanti “cartoline dal Nordeste”, assolutamente pacificate nella propria intenzione “artistica”.

Viene in mente il grandissimo Lisandro Alonso di “La libertad” e “Los Muertos”: lui sì che in un non dissimile ambiente (anche umano) è riuscito egregiamente a far sentire quella tensione interna al visibile, una tensione che non si trova certo adagiandosi a una placida contemplazione, ma seguendo l’azione da una specie di “non-distanza”, cogliendone lo scarto impercettibile e abissale.

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