ATLANTIDE – IL VENTO DEL CINEMA 2008 – "Niente è come sembra", di Franco Battiato (Il mito del cinema)
Un film tutto dialogato in cui a perdere quota sono presto proprio i discorsi, e tutto diviene slancio insopprimibilmente libero, limpido e intelligente miracolo al di sopra delle speculazioni oppositive tra materia e trascendenza; lasciando, soprattutto, sopra ogni cosa, in una predisposizione alla vita affamata di gioia e non comune, allo scorrere dei titoli di coda: sfidiamo tanti film, ma anche tanti esseri umani, a fare altrettanto, quando ci entriamo in collisione. VIDEO.
Una gita in campagna suscita ricordi dolorosi.
Come una mela cadde sul sedile posteriore della nostra cabriolè
e fu mangiata. Il torsolo non fu condotto al riposo.
Marcì, evaporò, svanì davanti ai nostri occhi
mentre lo guardavamo fisso…Come può una gita in campagna
procurare un tale dolore?
Com’è che gli alberi, com’è che le nuvole,
com’è che le scale a pioli non sono
così come sono
Juhani Ahvenjärvi
Per Franco Battiato la misura delle cose non è nella grandezza della domanda, ma nell’istante di consapevole, esatta, magnifica ignoranza dell'istante in cui questa viene posta (qualcuno ci lancia nella vita, questa nella coscienza) non diversamente dal brivido di bellezza che suscitano i suoni, la musica, l’urto di una forza intensa: i discorsi, le posizioni filosofiche in realtà perdono quota – paradosso! – in un film che non chiede di essere interpretato, pur essendo interamente parlato, dialogato: perdono quota i corpi delle cose, elastici, perché tutto lo è: i dialoghi – i punti di vista in fondo non hanno importanza se non compresi nella materia parlante di chi li ospita, nessuna religione (o tutte) possono reclamare il loro spazio, ma questo viene riempito fino in fondo, e sempre lasciato insoddisfatto – come la gioia dello spettatore, che ne vuole sempre ancora – soltanto da quella dell’attimo, in sè stesso luminoso. Se accadono dei miracoli, sono sorprendenti perché si nutrono dell’ordinario, e percuotono con staffilate di trascendenza la materia e non sfuggono alla materia: come questo film che è un piccolo miracolo, lieve ma incisivo, dorato, ma non rarefatto, un film che beninteso non ha nulla a che fare con la stucchevole retorica new-age (la meditazione non è affare da erboristi improvvisati, come dimostrano forse anche le creazioni lynchiane, e contemplare non vuol dire solo sopprimere i sensi, ma anche lasciarli moltiplicare e delirare, e questo non è un film per cultori posseduti dalla cristalloterapia come non lo è per chi non è disposto a porre sul tavolo da gioco le sue debolezze) e che soprattutto, sopra ogni cosa, lascia in una predisposizione alla vita non comune, allo scorrere dei titoli di coda, incredibilmente gioiosa: sfidiamo tanti film, ma anche tanti esseri umani, a fare altrettanto, quando ci entriamo in collisione.
In una delle sequenze più belle ed esatte del film, compare l’idea del travestimento: solo l’idea, attraverso l’esperienza di chi la racconta – ed è ammirevole la lucidità con cui questo cinema distingue tra esperienza e narrazione, sempre penosamente fallibile anche quando arde – sempre impercettibilmente intrisa di ironia, ma di un’ironia che non diventa faciloneria e scherno, piuttosto il controcanto divertito all’ostinazione della ricerca di una fede così come del suo rifiuto (per fede, si intende ogni esito di un’avventura: a ognuno il suo sacro Graal, per certi è l’amore, anche l’amore per l’arte; cantava Battiato nel suo Breve Invito, forse ignaro di aver salvato molte vite con un’altra perfetta carezza ironica su una questione fondamentale: Questa parvenza di vita/ha reso antiquato il suicidio…): travestirsi per scherzo e sul serio, allora, è un’ipotesi che ci raggiunge inoltre attraverso un’apparente conversazione da salotto, in cui le donne vanno alla ricerca di borsette e un uomo gioca per divertimento con i vestiti del clown: giocando sulle prime osservando le reazioni dei passanti – poi, insperato e “raro momento di coscienza”, resta paralizzato dallo stupore (divino…) di poter sentire le proprie reazioni a quella indifferenza, o compassione, o disprezzo. Allora anche per caso si sfiora un’esperienza di consapevolezza. Così ogni momento di questo film che non sembrerebbe avere una sua collocazione all’interno di una storia – le piccole punk che suonano Tchaikovsky, la sorpresa musicale nel salotto-bene, una casa divisa in stanze collegate in cui penetrare sempre di passaggio, Ildegarde, la mistica – lost girl in the room dagli occhi lucidi – che parla dall’eternità della sua reclusione, il lama tibetano che si affaccia alla televisione – sono schegge intelligenti di esplosioni avvenute altrove, non necessariamente imprigionate nei confini di un lungometraggio; potrebbe comparire all’improvviso anche il vecchio cameriere della canzone, le mille altre figure dolenti e umane vaporizzate nell’aria dal Battiato musicista, inspiegabilmente accusato d’essere trasparente, anche quando è carnale: Battiato davvero Autore, di un film, disposto, poi, a sospendere un attore ai vecchi cavi artigianali dell’illusione per farlo navigare in aria nella posizione del loto! – ironia rispettosa della magica levitazione, effetti speciali su temi speciali – mantenendolo però in una realtà quotidiana, perfino banale; e la comparsa di Jodorowsky, nella sua lettura di carte ancora sospesa tra tenerezza e scherzo, infatti non è semplice omaggio, come non lo sono i passi nell’erba de
Una clip da Niente è come sembra (Franco Battiato, 2007)