LIBRI DI CINEMA – " I film di Dario Argento"
Roberto Lasagna e Lino Molinaro aggiungono un ulteriore tassello alla bibliografia sul grande regista romano: una rilettura a 360° del cinema Argentiano dagli esordi fino a Giallo, un testo critico dalle riflessioni non sempre innovative e inedite ma che ha il pregio di guardare ad Argento senza pregiudizi di sorta.
Il cinema di Dario Argento è riuscito ad evadere dalla prigione dei “generi” per imporsi violentemente dinanzi agli occhi di tutti: negli ultimi anni anche in Italia la sua opera è oggetto di studio e osservazione in maniera completa e totale, e non più costretta entro i limiti di una critica cieca e settoriale; a quaranta anni di distanza da L’uccello dalle piume di cristallo, finalmente Dario Argento viene riconosciuto come uno dei pochi registi di casa nostra che si è fatto portabandiera di una specificità nazionale di fare cinema che oggi, per tanti e diversi motivi, sta scomparendo. Ben venga quindi questo proliferare di testi critici sul suo lavoro, questa invasione selvaggia e incontrollata sugli scaffali delle librerie che richiama alla mente le piacevoli scorribande punk delle streghe nelle strade romane di La terza madre. Per la collana Falsopiano Light, gli studiosi Roberto Lasagna e Lino Molinaro propongono I film di Dario Argento, rilettura a 360° del cinema argentiano, dagli esordi fino all’ancora invisibile Giallo: partendo da una struttura convenzionale (diciassette capitoli, praticamente uno per ogni film), il libro approda giustamente a una rilettura trasversale della materia trattata, inserendo e contestualizzando i vari titoli man mano analizzati in un universo ben più ampio, che è quello del cinema italiano e internazionale (Bava, Fellini, i “soliti” Hitchcock e De Palma, ma anche Kubrick, Siodmak e Pasolini) che fa da sfondo, mettendo così in risalto la carica eversiva e rivoluzionaria della poetica di Argento. Non tutte le analisi qui proposte si distinguono per originalità interpretativa (quante cose ancora da dire/scrivere su Dario Argento? Infinite) e in più di un’occasione, durante la lettura, si avverte la mancanza di una forte coerenza critica di fondo (perché definire l’estetica de Il cartaio “a tratti televisiva” se, solamente poche pagine dopo, si scrive che “la tendenza realista della regia ha finito per essere fraintesa da un’attenzione critica assuefatta dal realismo convenzionale di stampo televisivo”?), ma nonostante tutto, convince l’intenzione di voler leggere il Dario Argento post-Trauma come un Autore a tutto tondo in barba alla moda denigratoria che lo affligge da quindici anni a questa parte; titoli come Il fantasma dell’opera, La sindrome di Stendhal e La terza madre vengono qui riletti (anche) come capitoli fondamentali della carriera artistica di Argento, tramite i quali è possibile udire la voce alta e imponente di un artista che possiede ancora la volontà e le capacità di dire la propria sul cinema e, quindi, sul mondo.