TORINO 27 – "Torso", di Yutaka Yamazaki (Concorso)

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Yamazaki insegue il cinema di Kore-eda, quella capacità di guardare alle piccoli grandi meraviglie e tragedie della quotidianità per scavare nelle anime, nei volti, nei cuori. Ma se lo sguardo del regista ha il dono della sincerità, qualcosa sfugge comunque. L’occhio non coglie l’infinitamente piccolo, il lato umano delle cose

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torsoSentieri solitari, fughe in avanti o indietro. Lungo la strada si è sempre soli, tranne che per brevi, dolci o terribili attimi. Sembra che il cinema giapponese, più di altri, sia ossessionato dalla solitudine. La verità, forse, sta nelle parole della protagonista di Nanayo, l’ultimo splendido film di Naomi Kawase (presentato qui a Torino, nella sezione ‘Onde’). “Viviamo in un posto tranquillo. Siamo benedetti. Ma in noi non c’è calore”. Splendida confessione di un Paese che, col benessere, sembra aver smarrito le ragioni per amare. Ma il bisogno resta. Il desiderio di un corpo da accarezzare, stringere a sé, il desiderio di sentire il fremito dell’acqua e della vita scorrere sulla pelle, nell’anima.
E proprio con questo desiderio e quest’incapacità d’amare fa i conti Yamazaki, ‘esordiente’ a quasi sessant’anni, direttore della fotografia di lunga esperienza, abituale collaboratore di Kore-eda (After Life, Distance, Nobody Knows). Torso è un’altra storia, tutta al femminile, di solitudini, timori, frustrazioni. Hiroko (la bravissima Makiko Watanabe) ha quasi trentacinque anni e lavora in un’azienda di vestiti. Nella vita privata sembra aver poche motivazioni. Torna a casa, cucina, pochi svaghi, nessun uomo, nessun’amica.  Il centro delle sue attenzioni è un busto maschile gonfiabile, con cui condivide i momenti d’intimità, fa il bagno, va al mare, gioca all’amore. Un triste, perfetto equilibrio, che viene bruscamente infranto dall’arrivo di Mina, la sorellastra di Hiroko, che vive un rapporto burrascoso con il proprio uomo e aspetta un bambino.
Quasi fosse una conseguenza naturale, Yamazaki insegue il cinema di Kore-eda, quella capacità di guardare alle piccoli grandi meraviglie e tragedie della quotidianità per scavare nelle anime, nei volti, nei cuori. Non è un caso che Torso, a più riprese, richiami alla mente l’ultimo Air Doll. Ancora una volta un amore di plastica, la carne e l’oggetto, il calore delle cose e la freddezza delle passioni. Ma qui i rapporti si rovesciano. O, per meglio dire, ritornano alla normalità. Se Kore-eda sceglie a protagonista la bambola gonfiabile, una bambola bambina che respira aria e impara con dolore a guardare il mondo, Yamazaki nega a sé e a noi il miracolo dell’incarnazione. Sta sulla sua protagonista e, automaticamente, si sottrae allo spirito poetico della fantasia. Prova a giocare con l’intima delicatezza dei sentimenti e rimane sospeso su quel vuoto dei silenzi che nutrono la sostanza fragile dei legami e degli affetti. Ma se lo sguardo di Yamazaki ha il dono della sincerità (soprattutto nei momenti in cui Hiroko si ritrova a tu per tu con la sorella e con la madre), qualcosa sfugge comunque. L’occhio non coglie l’infinitamente piccolo, il lato umano delle cose. E, malgrado gli sforzi, l’intensità di Kore-eda resta lontana. Quell’intensità dell’emozione che nasce dai tanti attimi che compongono la vita.

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