Ri/fare il film – Le cinque variazioni di Lars von Trier, Jorgen Leth

Se sulla carta Le cinque variazioni sembra un giochetto intellettualistico, poi le immagini vivono di una certa ironia, e il duello di teoria cinematografica che i due registi inscenano ottiene di coinvolgere tutte le categorie del progetto "Dogma".

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Chi scrive è rimasto sorpreso, oggi più di ieri, dal cinema di von Trier. Credo che come cineasta egli sia migliorato, a dispetto di ogni previsione, anche mia personale, suo suo conto. Dogville, l'ultimo lungometraggio, non è propriamente, come è stato scritto, un film cinico, ma, al contrario, un film che ragiona, piuttosto beffardamente, sulle conseguenze di un cinismo vissuto su scala planetaria. Grace, la giovane donna interpretata da Nicole Kidman, alla fine della vicenda in cui l'abbiamo veduta angelo della bontà in una cittadina di meschini, interiorizza in maniera prosaica una certa mentalità americana, la stessa che ella, legata come un cane alla catena, ha fiutato tra le pareti (illusorie) di Dogville. Diventa vendicativa, dà ragione alla legge delle armi, medita e poi traduce in realtà il suo proposito di vendetta. E' evidente che un simile finale risulta troppo "duro", ingombrante, scomodo. Si tratta di una ventata di crudezza e realismo in un film che sino a quel momento aveva giocato in maniera scoperta con le illusioni portanto alle estreme conseguenze la concezione antinaturalistica del lavoro di von Trier. I critici americani meno avveduti si sono comprensibilmente arrabbiati, perché hanno preso alla lettera ciò che era giocato su di un piano ribaltato, essendo la scelta di Grace decisamente "criticabile" secondo uno sguardo morale europeo, ma perfettamente in linea con lo spirito più guerrafondaio di certa America. Dopo tutto i critici americani avevano già frainteso un film come Monsieur Verdoux di Chaplin, troppo sottile nel fare i conti con l'interiorizzazione, da parte dell'uomo comune, della mentalità del consenso. Un film non cinico, ma che sapeva mostrarci tutta la normalità insita in una condotta di vita moderna e, questa sì, davvero cinica. Simili considerazioni ci riportano inevitabilmente a Le cinque variazioni, eccentrico film girato da Lars von Trier assieme all'amico documentarista Jorgen Leth, dove il primo sfida il secondo a realizzare una serie di remake di un suo piccolo film del 1967 (L'uomo perfetto), rispettando ogni volta condizioni che sarà lo stesso von Trier a dettargli. Le cinque variazioni si compone dunque di cinque sezioni divise ciascuna in tre parti. Nella prima"variazione", ad esempio, a Leth viene imposto di non utilizzare riprese più lunghe di 12 fotogrammi, di girare a Cuba, di offrire risposte alle questioni che la sceneggiatura lasciava in sospeso. Se sulla carta Le cinque variazioni sembra un giochetto intellettualistico, poi le immagini vivono di una certa ironia, e il duello di teoria cinematografica che i due registi inscenano ottiene di coinvolgere tutte le categorie del progetto "Dogma". Leth e von Trier sono due artisti molto amici ma profondamente diversi; assieme, rivendicano l'idea di un cinema che esplori le possibilità del linguaggio filmico (la discussione sulla moralità della ripresa dell'agonia di un bimbo in un campo di rifugiati), nel rispetto di una volontà dubitativa che pone molte domande non banali sulla creazione artistica. Arricchito dal rapporto personale tra i due artisti, questo film si propone come un lavoro didattico pieno di ironia, dove ciò che conta più di tutto è di dimostrare che esistono infiniti modi di giungere al risultato finale, ma la lavorazione di un film, la sua dimensione etica, condizioneranno in modo imprevedibile il risultato finale. Le regole ferree che Lars impone a Jorgen ci riportano naturalmente, con una certa autoironia, al gusto programmatico del decaloco danese, e lo fanno sembrare quasi la boutade di un cineasta che da tempo ha preso le distanze dal tono oltranzista di "Dogma 95". Le conversazioni tra i due registi sono forse la cosa più divertente del film, e contraddicono la generale considerazione che vuole von Trier cineasta schivo ed antipatico. Qui Lars sembra divertirsi a mettere in mostra il lato più "bizzarro" di sé. Il sadico gioco imbastito dal duo porta ad esprimere lo stesso concetto attraverso un linguaggio in divenire: tramite gli odiatissimi (da entrambi) cartoni animati, senza alcuna imposizione, e così via. Forse Lars qui mette soprattutto alla berlina il suo mito di cineasta impositore, e nel fare questo ci pone delle domande: fino a dove ci si può spingere nel comporre un'immagine? Dove possiamo rintracciare le motivazioni di senso di un film? Ha valore un cinema come pura ricerca formale? Esiste un limite morale oggi abbondantemente "divorato" dalle immagini? Se l'impressione generale è quella di un esibizionismo un po' demodé, Le cinque variazioni ha invece la qualità preziosa della leggerezza e si profonde in un insegnamento ironico. Un motivo in più per riflettere su Dogville e sull'ironia diffusa in quel film, la cui scansione in capitoli, assieme ad altri elementi, lo avvicina (dichiaratamente) a Barry Lyndon di Kubrick, altro film che all'epoca venne ritenuto "cinico" come sovente capitava a Kubrick (si ricordi soltanto il titolo di un articolo di DiGiammatteo a proposito de Il dottor stranamore: "Il cinismo come ideologia"), e che similmente a Dogville utilizza il motto di spirito per provocare straniamento, per fare riflettere sul cinismo anziché offrirsi ad una interpretazione superficiale dello stesso.

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Titolo originale: De Fem Benspaend


Regia: Lars von Trier, Jorgen Leth


Soggetto e sceneggiatura: Lars von Trier, Jorgen Leth


Fotografia: Dan Holmerg, DFF


Montaggio: Camilla Skousen, Morten Holberg


Suono: Hans Moller, Mainstream Holberg


Interpreti: Lorgen Leth, Lars von Trier, Hacqueline Arenal, Daniel Hernàndez Rodriguez, Patrick Bachau, Alexandra Vandernoot


Produzione: Casrten Holst


Distribuzione: Esse & Bi


Durata: 90'


Origine: Danimarca, 2003


 

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