Il Marocco allo specchio. Incontro con Nabil Ayouch per Much Loved

Presentato il film che ha destato scalpore a Cannes, fino al divieto delle autorità marocchine. Un ritratto duro e senza reticenze del mondo della prostituzione di Marrakech. La conferenza stampa

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Esce in Italia Much Loved, il film del regista franco-marocchino Nabil Ayouch, che ha fatto scalpore per il ritratto dell’oscuro mondo della prostituzione in Marocco. Un film duro ed esplicito che racconta la storia di quattro donne a Marrakech, Noha, Randa, Soukaina e Hlima, alle prese con un mondo di eccessi, violenza, degradazione e sfruttamento. Eppure donne tenute in vita da una dignità ferma e da un’umanità sorprendente. Much Loved è stato presentato a Cannes, alla Quinzaine des réalisateurs, attirando immediatamente su di sé l’attenzione dei riflettori. Da quel momento il film ha incontrato la ferma opposizione delle frange più tradizionaliste e chiuse della società marocchine ed è stato vietato dalle autorità, che ne hanno impedito la circolazione in patria. Ayouch e le sue splendide protagoniste, hanno subito minacce di vario genere e hanno dovuto correre al riparo, assicurandosi una scorta. E affidandosi agli effetti positivi di una circolazione all’estero. È chiaro, quindi, che le prime domande rivolte ad Ayouch in conferenza stampa hanno riguardato la condizione attuale di sicurezza del regista e del cast.

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Sono rimasto io per primo scioccato della cosa. Dopo Cannes, quando alcuni scene del film sono cominciate a circolare in maniera pirata su youtube, si è scatenata una campagna che definirei isterica, di odio e di violenza. Sono giunte minacce e ho cercato in primo luogo di tutelare le attrici, garantendo loro un appartamento e la protezione di guardie del corpo. Io stesso, con la mia famiglia, ho dovuto vivere sotto protezione. Oggi le cose sembrano andare un po’ meglio. Anche se pende un processo intentato, sia chiaro, non dallo Stato, ma da un’associazione che ci ha accusato di pornografia”.

 

E ancora, sulle intenzioni del film e le reazioni suscitate: “Se pensassi che il cinema non fosse in grado di risvegliare le coscienze, probabilmente farei un altro mestiere. Non immaginavo minimamente che potesse scatenarsi questo putiferio, anche perché non ho avuto alcun problema per le riprese e per le autorizzazioni a girare. Comunque, anche se ci avessi pensato, avrei fatto lo stesso il film. Ciò in cui speravo era creare un dibattito sulla condizione della donna, sul suo ruolo nella società marocchina e, più in generale, del mondo arabo. Senza immaginare di subire quest’interdizione, questa messa al bando di un film che, per di più, non è mai stato visionato da alcuna commissione di censura”.

 

Ayouch si sofferma poi sulla situazione del suo paese. “È vero che il Marocco di Muhammad VI non è più quello dell’epoca di suo padre, Hassan II. In quindici anni, sono stati fatti notevoli passi avanti e c’è una maggior libertà di espressione. Libertà che è tutelata anche dagli art. 24 e 25 della Costituzione. A maggior ragione sono scioccato da questa interdizione. Che però mi convince sempre più che bisogna continuare a combattere per difendere i diritti civili dal rischio non solo di una battuta di arresto, ma addirittura di una regressione. Bisogna continuare a esprimere la propria voce. E voglio sottolineare che il film è stato proibito non dal Palazzo reale, ma dal Ministro della comunicazione, cioè da un organo politico. E si sa, oggi più che mai, la politica insegue il populismo”.

 

Entrando poi nel merito del film, Ayouch parla delle attrici e del casting. “È vero, si tratta di attrici non professioniste, a parte la protagonista Loubna Abidar, che ha interpretato piccoli ruoli altrove. E, ovviamente, non si tratta neanche di prostitute. Ma sono tutte donne che sono cresciute in quartieri poveri e difficili e hanno avuto modo di conoscere il mondo della prostituzione. Capiscono quel modo di parlare e quella condizione. Ho incontrato molte donne durante il casting. E quello che era importante per me era la loro motivazione. Ho detto a tutte che si trattava di un film difficile, di cui bisognava portare il peso, in qualche modo. Scelte le interpreti, ho provato molto con loro, soprattutto riguardo al modo di muoversi, di parlare. Quello che contava era riuscire a far emergere la loro interiorità, che poi aderisse a dei personaggi da rendere finalmente visibili. Quindi, anche lo spazio di libertà che ho lasciato loro durante le riprese è stato importante. Per me ogni storia nasce dai personaggi. E quindi devo lasciar loro la libertà di esprimersi”.

 

Riguardo poi al mondo della prostituzione, raccontato senza reticenze, dopo lunghe ricerche, Ayouch sottolinea “Questo film è innanzitutto un ritratto di donne. E attraverso loro uno sguardo su un ambiente e una società. Ho intervistato più di duecento prostitute e ho conosciuto il loro mondo. Sì, certo c’è il bisogno del danaro, ma è un danaro che va in gran parte alle loro famiglie, che in cambio non danno nulla, se non disprezzo e distacco. Quello che mi ha colpito in queste donne è il loro disperato bisogno di amore. Ma anche uno spirito di indipendenza inaspettato. In Marocco, a differenza di quanto accade in Europa, le prostitute non hanno protettori, macrò, che le obbligano a fare quello che fanno. E in un certo senso, sono in antitesi con la società patriarcale in cui sono cresciute, con un sistema sociale chiuso, ipocrita e maschilista. In loro ho visto tanto dolore, ma anche un’unione che mi ha toccato il cuore”.

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