Amor, di Virginia Eleuteri Serpieri
Tramite l’archivio, la regista costruisce un percorso intimo, un confronto con se stessa e la sua storia dolorosa ma imprescindibile. VENEZIA80. Fuori Concorso.
Una sera d’estate di venticinque anni fa, Teresa attraversa una Roma deserta fino a raggiungere le sponde del Tevere e si abbandona alle sue acque. Oggi, sua figlia Virginia tenta di riportare a galla dagli abissi del fiume e della memoria l’immagine di sua madre e dare un senso a quell’assenza, riempire un vuoto lungo una vita. Per farlo, squarcia il tempo dei ricordi e della Storia, e lo ricuce insieme dando vita ad un “posto altro”, in cui far rivivere gli eventi, le persone, i sentimenti. Roma, riflessa nelle profondità torbide e oscure del Tevere, si trasforma in Amor, il pianeta della cura, in cui ritrovare chi abbiamo perduto e quell’amore, quell’attenzione, che altrove, prima, ci sono mancati. L’acqua torna ad essere elemento catartico, di liberazione e purificazione, a cui abbandonarsi per riemergerne rinnovati, integri. Teresa “risorge” dalle acque del Tevere come le figure di Bill Viola dagli eterni loop acquatici delle sue opere di video arte. Torna il tema dell’acqua già esplorato in The Water’s Tale e la riflessione sulla famiglia continua dopo My Sister is a Painter. E come per Viola, l’acqua diventa elemento centrale della riflessione artistica e personale in seguito ad un evento traumatico. Virginia Eleteuri Serpieri esordisce al lungometraggio con un documentario intimo, privato, un confronto con se stessa e la sua storia tanto doloroso quanto imprescindibile.
Attraverso le immagini d’archivio dell’Istituto Luce di una Roma post bellica, ferita, lacerata, tutta da ricostruire. La regista traccia un percorso di ricerca di pacificazione, una testimonianza di resilienza che risponde all’esigenza di riedificare sulle macerie di una guerra (personale, universale) davanti alla quale non ci è stata data possibilità di salvezza (un’operazione che a tratti si avvicina a quella di Annie Ernaux nel suo doc autobiografico I miei anni Super 8). Resta solo l’accettazione dell’abbandono che verrà e il tentativo postumo di colmarlo, ricomporre quell’immagine d’amore che si pensava perduta. Un’altra storia familiare spezzata dal gesto estremo del suicidio, dopo la vicenda personale di Maria Grazia Calandrone, candidata al Premio Strega 2023 con il romanzo Dove non mi hai portata (da cui il podcast Mia madre: un caso di cronaca), in cui tenta di ricostruire la storia dei genitori Lucia e Giuseppe, amanti in fuga da una terra di miseria e violenza, morti suicidi nel Tevere dopo aver abbandonato la figlia di otto mesi a Villa Borghese, come gesto ultimo d’amore incondizionato. Un destino comune quello di Teresa e Lucia, e altrettanto simile è l’intento, seppur in forme diverse, di Virginia e Maria Grazia, nel tracciare attraverso i loro lavori un percorso introspettivo, di consapevolezza e consolidamento della propria storia frammentata, di figlie, bambine, donne diventate adulte serbando una ferita, che s’intreccia alla Storia, fatta di testimonianze, di cronaca, articoli di giornale, servizi televisivi e annunci radiofonici che mettono in connessione il dolore privato col dolore di tutti.