Behind the Mountains, di Mohamed Ben Attia

Racconta di un’utopia ma non coglie nel segno questo anelito di libertà per un film allegorico che si affida ad una violenza istintiva e ingiustificata. VENEZIA80. Orizzonti

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Dalle prime immagini, nelle quali un uomo che si chiama Rafik, distrugge a colpi di bastone i computer in un call center e poi durante una delle notti in carcere vola via dalla finestra facendo pensare alla sua morte, si intuisce che il film del tunisino Ben Attia è forse, in fondo, solo un’allegoria di una certa fantasia di libertà. Un’affermazione di diversità che diventa la chiave per intervenire sulle cose del mondo a cominciare dalla propria vita. In realtà Rafik dopo il volo dalla finestra della prigione non è morto, così come non morirà dopo un altro volo da un costone di roccia. Così, come infine, non morirà quando, dopo avere rapito il figlio, sarà sfuggito alla Polizia. Il tentativo di riparare per la notte in casa di una famiglia minacciando e usando violenza finirà, sotto l’incalzare dei poliziotti, in un lungo e definitivo volo che avrà consacrato quel desiderio di libertà.
Behind the Mountains racconta di un’utopia, quella del volo come simbolo di una libertà impossibile. Purtroppo però il racconto non possiede quella necessaria forza incisiva che una materia del genere meriterebbe e la scrittura del personaggio principale assomiglia più a quello di una “testa calda” pronto a menare le mani piuttosto che ad un pensatore di utopie, di un cantore di una libertà impossibile. Cinema che prova a diventare visionario ma che, invece, si attarda su un livello di realtà basico, su un racconto che non sembra mai arrivare al dunque del tema. Difficile quindi raccordare queste evidenze con le probabili intenzioni del racconto originario. La rivolta di Rafik non è raffinata come si converrebbe ad un pensatore, quanto piuttosto istintiva e ingiustificata. Ne fa le spese il figlio che si affida inconsapevole alle braccia del padre in questa fuga improbabile e in parte incomprensibile (da cosa fugge Rafik?).
Non coglie pienamente nel segno questo anelito di libertà che si esprime attraverso il desiderio del volo, simbolo primario di questa idea, lasciandoci molto perplessi su quanto si è visto e su quanto sia inutilmente lungo un percorso di possibile redenzione che lascia dietro di sé una altrettanto lunga scia di insinuante noia.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.4
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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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