#Berlinale 2016 – Incontro con Thomas Vinterberg e il cast di The Commune

La comune raccontata dal regista danese, tra ricordi e finzione. Presenti all’incontro il regista e una parte del cast. In concorso

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“Questo film è una dichiarazione d’amore a quella che è stata la mia infanzia in una comune e ad un tempo in cui le persone stavano insieme, condividevano. È anche un film sull’impermanenza delle cose”. In questo modo esordisce Thomas Vinterberg, che ha presentato oggi il suo ultimo film, The Commune. Presente all’incontroanche una parte del numeroso cast, tra cui i protagonisti del film Helene Reingaard, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen e la giovane Martha Sofie Hansen. “Le cose finiscono”, prosegue il regista “ed è una cosa che anche oggi, da adulto, non mi riesco a spiegare. Mia moglie oltre ad essere un’attrice, è una teologa, e io la interrogo continuamente, ma senza grandi risultati”.  

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In questo modo Vinterberg presenta il film, che vede il graduale sfaldarsi di una solida coppia all’interno della comune da lui rappresentata. “Quello che mostro è effettivamente il racconto di un conflitto”, spiega il regista danese, rispondendo ad una domanda che suggeriva come nei suoi film ci fossero sempre scontri, “e mette anche in mostra una guerra tra persone che amano e che si amano. È anche il ritratto di una donna che offre la sua vita per la comune, di una persona molto generosa e coraggiosa”. “Io non credo nelle relazioni aperte”, prosegue Vinterberg “ma apprezzo che ci abbiano provato, apprezzo i miei genitori, e tutti quelli della loro generazione, uomini e donne degli anni ’50 ossia un periodo molto tradizionalista, che hanno tentato di scappare dalla banalità della vita quotidiana, di superare le sue trappole. La loro era un missione complicata, ma vivendola durante l’infanzia mi è servita. Rispetto alla società di oggi, in cui sono tutti molto soli, e il bisogno di stare insieme è stato rimpiazzato da valori quali libertà e individualismo, il mio film vorrebbe essere un incoraggiamento per ripensare ai tempi in cui sono cresciuto. Naturalmente si può essere soli anche vivendo in una comune, e il mio film mostra anche questo. Insomma abbiamo tentato di essere sinceri in tutto, di mostrare le luci e le ombre di questo stile di vita”.

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Molte le domande sul movimento cinematografico Dogma95, prima tra le tante: è possibile un suo ritorno? Oggi accetterebbe di girare un film senza essere accreditato come faceva all’epoca? “No. Quello che doveva essere un movimento di rivolta, una ricerca costante di rinnovamento e di rischio, col successo che abbiamo ottenuto si è rotto. Posso dire da parte mia che tutto è finito con Festen. Dogma è diventato una moda, qualcosa di sexy, di fashion. Adesso noi fondatori siamo diventati ricchi, beviamo vino costoso…non volevamo essere accreditati perchè volevamo eludere ogni vanità, ma in realtà i film che giravamo, anche se non avevano la nostra firma, erano molto personali. Oggi Dogma non avrebbe più senso”.

Interrogata sul suo personaggio, l’attrice protagonista Trine Dyrholm, nel ruolo di una donna che crolla a pezzi per il distacco col marito, risponde: “Il mio personaggio è una donna che non è ispirata dalla famiglia tradizionale, ha altri ideali e li segue. Poi ad un certo punto del film la vediamo crollare, e deve fare i conti e mettere in discussione quegli stessi ideali. In questo senso il film mostra un aspetto molto brutale della vita, ossia come tutto finisce, come le persone possano essere rimpiazzate”. Altro aspetto del film sottolineato sia dall’attrice Matha Sofie Wallstrom che da Vinterberg, è “la perdita dell’innocenza”. “Il mio personaggio”, dice Matha Sofie, “è infantile all’inizio del film, ama la madre e il padre e vuole solo vederli uniti. Ma il suo ruolo di figlia è messo in discussione quando capisce che deve aiutare la madre a prendere una decisione, si rende conto che è lei che deve essere forte”.

Tra i pochi a non ritrarsi di fronte alle domande sulla gestione dei rifugiati da parte dell’Unione Europea, al contrario Vinterberg fa uno statement piuttosto forte: “Nei miei film non amo parlare di politica in maniera diretta. Ma come uomo dico che in questo momento mi vergogno di essere danese, per quello che sta succedendo in questo momento nella mia nazione. Se si smettessero di umiliare le persone sarei contento”. 

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