BERLINALE 61 – "Nader and Simin. A Separation", di Asghar Farhadi (Concorso)
Dopo About Elly il cineasta iraniano realizza ancora un film di brevi ma consistenti fratture in cui il conflitto esplode all'improvviso. Un semplice avvenimento quotidiano che si ribalta nel giudizio quando muta l'angolazione da dove viene guardato. Un cinema di sceneggiatura, certo, ma anche capace di raccontare il presente e il privato con stile modernissimo. Al momento, il migliore della competizione
Simin cerca così una persona che possa occuparsi del padre. Razeh, una ragazza incinta, accetta l'impiego senza però dire nulla al marito. Un giorno, rientrando dal lavoro, l'uomo trova l'anziano genitore steso per terra e Razeh non è in casa. La sua reazione avrà delle conseguenze tragiche.
Come nel precedente About Elly il conflitto esplode senza preavviso. Lì c'era la scomparsa di una ragazza sulla spiaggia, qui una collisione che viene guardata da diversi punti di vista, con il giudizio che tende spesso a ribaltarsi. Sicuramente quello di Farhadi è un cinema che gioca prevalentemente sulla parola (come Kiarostami del resto), ma il conflitto che si scatena ha un istinto immediato che non ha nulla a vedere con l'accumulo. Ha inoltre un pudore estremo nel mostrare la malattia e lo sguardo infantile e adolescenziale mentre è esplosivo nella scena all'ospedale dove la la rabbia può scattare da un momento all'altro. Alla base di Nader and Simin. A Separation c'è un semplice avvenimento. Ciò che cambia, come Rashomon di Kurosawa ha insegnato, è l'angolazione da cui si guarda. Farhadi, come nel film precedente, non emette sentenze, ma procede per mutazioni prima impercettibili poi sempre più consistenti. Non muta la figura fisicamente ma cambia certamente il modo di guardarla. Come About Elly il cineasta iraniano lascia emergere altre crisi familiari. Più corale quel film, più circoscritto questo. Ma con un parallelismo sorprendente nel mostrare la distanza anche attraverso un'analisi di classi sociali, senza nessuna ridondanza, con un impeto quasi neorealista, segno di un cinema che non solo sa raccontare il presente e il privato ma lo sa fare con uno stile trasparente e modernissimo. Forse, delle ultime Berlinali, questa di Asghar Farhadi è la scoperta più importante.