Blog NET NEUTRALITY – L’asteroide è Godard e i dinosauri siamo noi
Godard e Straub in una fantomatica “skill challenge” dei nostri giorni di quarantena, l’uno in diretta su Instagram e l’altro con il corto online La France contre les robots

Tra prove del cuoco, cori in balconata, cacofonie su piccoli e piccolissimi schermi, propositi creativi ad evitare implosioni inevitabili, arriva sempre la news illuminante, quella che dopo qualche secondo, o anche meno, trovi inutile, superflua, scontata, fuori luogo, fake. Bene, possiamo ammetterlo ancora una volta: siamo nel migliore dei mondi possibili. Lo pensava anche Voltaire con il suo “Candido”, nonostante pestilenze, violenze d’ogni genere, capricci della natura e poteri depredanti. Quel tomo mi è caduto sui piedi, dopo aver urtato, nel buio delle stanze, uno scaffale in corridoio, mentre provavo a soverchiare l’insonnia e a scorporare la mente da virulente turbative. “Ma a quale scopo è stato dunque fatto questo mondo? Per farci arrabbiare”… magari ululando imprecazioni da calendario dopo quel tomo in caduta libera di notte. Il terremoto che rase al suo Lisbona nel 1755 è l’evento in cui Candido, il più innocente di tutti, dimostra che non c’è alcuna armonia prestabilita nella vita. Anche il tempo è cambiato, sole a mezzanotte e soprattutto a Pasqua e Pasquetta, non esistono minuti, ore e giorni. I riferimenti non sono più luce e oscurità, la ciclicità sta perdendo con la matematica esponenziale, la curva dei contagi segna ormai il nostro tempo. Ecco, allora, ci mancava anche la curva dell’asteroide. Il 29 aprile ci “sfiorerà”, passando a circa 6,2 milioni di chilometri (circa 16,5 volte la distanza Terra-Luna), ad una velocità di 8,7 chilometri al secondo, un asteroide di diametro compreso tra 1200 e 4000 metri, praticamente grande quasi quanto l’Everest. Quanti numeri… Se fosse davvero pericoloso, perché la Nasa rassicura di non preoccuparsi minimamente, causerebbe effetti devastanti su scala globale. Potremmo finire come i dinosauri, prima di sfregarci gli occhi, azione assolutamente da evitare in questo periodo, perché l’asteroide è proprio Jean-Luc Godard su Instagram, per un incontro-intervista di quasi due ore, a cura dell’Università di Losanna. Proprio nei giorni dell’emergenza sanitaria planetaria, appare, e i dinosauri siamo noi: “La televisione produce oblio, il cinema produce ricordi…”. Apparentemente anacronistico, il pensiero invece mostra proprio quel che non sappiamo ancora dell’immagine, la sua bellezza che ancora non ci appartiene, che “ci parla muta mentre ci include”.
In fondo, l’oblio è necessario e quando non si compie del tutto, tutto comunque si ricostruisce, si deforma, la rimozione di eventi realmente accaduti ci porta alla formazione di falsi ricordi. La televisione è controllata dal presente, dal desiderio, dalle paure, il cinema deve abitare le paure, lasciarci in quarantena costante, lasciare tracce, impronte. E la casa è perciò il luogo che più si oppone al loro dissolvimento, all’incalzare implacabile dell’oblio. Bertold Brecht: “Come si alzerebbe l’uomo al mattino senza l’oblio della notte che cancella le tracce? La fragilità della memoria (e del cinema) da forza agli uomini”. Per adesso possiamo immaginare un diario, l’unica forma narrativa incisiva che non trasfiguri e comprometta definitivamente l’immaginario. Proprio adesso quindi: “Il cinema deve andare ovunque (proprio quando tutto chiude…). Bisogna fare la lista dei luoghi dove non c’è ancora e farcelo arrivare. Se nelle fabbriche non c’è, deve andare nelle fabbriche. Se nelle università non c’è, bisogna portarcelo. Se nei bordelli non c’è, deve andare nei bordelli”. Corpo estraneo, proveniente da una galassia sconosciuta, oggi, proprio in questi giorni febbrili, Godard avrebbe fatto suo ancora di più l’aforisma enigmatico di Kafka: “Compiere il negativo ci è ancora imposto, il positivo ci è già dato”. Farci vedere il cinema nell’atto in cui ci parla, proprio come un asteroide che punta dritto verso di noi, verso la nostra seconda casa online. La seconda casa ha la porta sempre socchiusa, spesso spalancata, e Godard ha condiviso il suo sfondo abitato da spiriti impossibili da spopolare. Accanto, sulla sua destra, lo spazio del pittore, la sua cronaca diaristica videotelevisiva dell’immagine in quarantena, che solo pochi potrebbero filmare, solo pochi potrebbero filmare lo “scriversi del parlare di Godard”. Tra i pochi, sicuramente Jean Marie Straub (e Danièle Huillet, spirito non spopolabile…). La condivisione si fa compresenza, abitare la distanza. Straub negli stessi giorni mette online un girato di circa nove minuti, “La France contre les Robots”, declamando scritti di Georges Bernanos, su cui si legge nell’incipit una dedica scritta a penna: “pour Jean-Luc”. Lungo il lago, un uomo cammina (oltre i divieti…) e declama con lo sguardo che punta i piedi (ancora loro), mentre una sorta di piano sequenza inquadra di profilo, non perfettamente in linea alla figura (cinema che segna leggermente il passo…), il movimento da destra a sinistra (positivo e negativo…).
In realtà, la scena si ripete due volte e in entrambe le occasioni, si chiude con il protagonista che alza lo sguardo verso il lago e dice: “Un monde gagné pour la Technique est perdu pour la Liberté”. L’asteroide tocca terra e deflagra. Tautologica condizione. È la stessa tecnologia a dare propulsione alla massa incandescente e che trapassa lo spazio. La sua voce, la storia che evoca, le domande che pone, fanno pensare a ciò che si prova quando si è in un deserto. La terra e il cielo paiono uniti. Si coniuga la densità e il valore del testo con la misura necessaria, quasi fisica, incontrollabile, a dispetto di qualunque rigore, dell’adattamento visivo. Mettersi alla giusta distanza, per meglio vederlo e, con Brecht, meglio giudicarlo. Questo è cinema-cinema al massimo della sua potenzialità espressiva. Proprio nel momento in cui siamo tutti a casa, Straub ci riconduce in strada, in una sorta di “skill challenge”, con Godard, perché ormai tutti senza fissa dimora della storia. C’è la vita di tutti i giorni, ma quel che la circonda è il vuoto. Ma perché proprio Bernanos? Antisemita, destrorso… perché tra i più grandi profeti dell’ecologia spirituale? Perché nel 1954 segnò l’incontro tra Jean-Marie e Danièle, da cui nacque “Dialogue d’ombres”, dall’omonimo testo dello scrittore del 1928? Perché Bernanos era estraneo al suo tempo, un altro asteroide, nemico di ogni convenzione estetica? Perché in Bernanos il realismo raggiunge l’allucinazione, di un buio drammatico che tradisce nei suoi personaggi partecipazione e separazione dal mondo? Perché Bernanos viene da Balzac, ma anche da Dostoevskij? Perché in Bernanos c’è la pittura, non c’è analisi psicologica, fa del soprannaturale per mezzo del reale? Perché, tra curati di campagna e Mouchette, che Robert Bresson ha folgorato visivamente, non resta che declamare ancora un stralcio di “diario”: “Mi sono destato al canto del gallo, ancora una piccola emorragia, poco più di uno sputo di sangue, paura della morte. È strano questo concentrarsi di tutto l’essere in un punto dolente del petto…”.