Bond, James Bond. Si sa tutto di Sean Connery?

Cosa si sa dell’attore-mito appena scomparso? Artista e uomo complesso, ben oltre il James Bond desiderato da donne e uomini. Un ritratto di Sean Connery dal Blog ILCIOTTASILVESTRI

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Si sa tutto di Sean Connery?

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E’ stato visto rivisto e adorato dalle generazioni maschili e femminili degli anni 60 (i Bond), dei 70 (i Milius, Lester e Huston); degli 80 (De Palma degli Intoccabili, Il nome della Rosa di Annaud e Indiana Jones e l’ultima crociata di Spielberg); dei novanta: i due Highlander, Caccia a ottobre rosso, Entrapment, The rock, ovvero McTiernan, Mulchay, Michael Bay e Joe Amiel.

E così anche i millennial lo hanno scoperto e voluto imitare, magari anche senza saperlo, visto che rifiutò di fare Matrix, Harry Potter e Il signore degli anelli (“non l’ho mai capito”). Perché il suo fascino, unico, è contagioso. Alto, bello, muscoloso. Voce possente, in Italia quella di Pino Locchi, sopracciglia folte e scure (anche troppo, poi aggiustate), sguardo astuto e sardonico, gestualità  dal coordinamento sempre tecnicamente perfetti. Come il suo gin Martini, agitato non mescolato. Nel 1988 vince l’Oscar per Gli intoccabili (strappandolo al protagonista, Kevin Cosnter). Nel 1999 quando ha 69 anni lil settimanale popolare People lo incorona “l’uomo più sexy del mondo”. Del 2000  è un film da lui prodotto, Scoprendo Forrester, di Gus Van Sant, che sintetizza una intera, lunga carriera, la sua egemonia schermica. Agire da duro (senza barba) o da saggio vecchio, o come ladro o come re (con la barba grigia) – ha fatto 4 film come King da Agamennone dei Banditi del tempo a Riccardo cuor di leone in Robin Hood di Kevin Reynold – ma con la morbidezza scaltra del politico, i tempi perfetti del ballerino, l’ironia del commediante di classe e la femminilità del giocatore di calcio che rispetta e conosce e non ignora mai il corpo e i movimenti, anche più impercettibili, dell’avversario. Mai maschilista. Mai egocentrico. Semmai preda, oggetto del desiderio.

Sean era un proletario che ha fatto in gioventù mille mestieri. Mamma domestica e papà camionista, di Fountainbridge (che sarà il nome della sua casa di produzione, e ha tatuato sul braccio “Scotland forever” mai esibito in un film e “Mum and Dad”) ha perfino lucidato le bare per sopravvivere. Come O’Toole Michael Caine e Peter Ustinov non ha fatto né il liceo né l’università, solo l’università della strada. Ma, contemporaneamente, lasciava la scuola, giocava benissimo a calcio, andava a scuola di danza e si presentava al concorso per Mister Universo Gb arrivando terzo. Il suo idolo? Un altro duro, un altro attore scozzese.
Ma forse qualche cosa ce la siamo dimenticata, visto che  “Big Tam” si è ritirato a 74 anni, 16 anni fa, dal grande schermo. Vegano. Ecologista. Nazionalista scozzese, si è esiliato dalla Gran Bretagna, prima a Marbella, in Spagna e poi a Nassau, Bahamas perché sarebbe tornato solo in una Scozia indipendente e in una Edimburgo non più monarchica: “sogno che potrebbe realizzarsi perfino durante la mia vita”, sperava. Nella lista nera della NRA, la società che tutela gli interessi dei venditori di armi da fuoco, perché finanziava campagne contro la caccia e la vendita di pistole e fucili, si meravigliò quando Hollywood, la cui struttura e politica aveva attaccato tutta la vita, gli conferì premi alla carriera e la regina Elisabetta gli conferì la più alta onorificenza del Regno Unito (che accettò forse come Bond più che come Connery).
Si era ritirato ma non poté rinunciare a prestare la sua voce, così profonda e unica, al videogioco di 007 dalla Russia con amore che dei “7 magnifici Bond” che ha girato è sempre stato il suo prediletto.
Ma forse abbiamo dimenticato lo splendido film che ha fatto prima di diventare famoso, quando era ancora poco più di un caratterista, I piloti dell’inferno di Cy Endfield 1957. Era una storia che riguardava i camionisti salariati d’Inghilterra sottoposti a ritmi di lavoro schiavistici con conseguenze cruente (come i motorboy di oggi). Per Sean era un soggetto quasi autobiografico, vista la professione del padre. Il regista americano di quel film era stato sbattuto fuori dagli Usa perché comunista, coinvolto nelle epurazioni maccartiste. A proposito di film politici radicali ricordiamo anche – dimenticatissimo – I cospiratori di Martin Ritt del 1970, sui Molly Maguires, organizzazione segreta anarco-sindacalista di fine ottocento piuttosto clandestina, molto, molto “cattiva” come direbbero i migliori commentari calcistici di Sky, con Sean Connery che cerca di aizzare alla lotta i minatori supersfruttati con ogni mezzo necessario.
Ovviamente ricorderei anche il bellissimo, magico e poetico film prodotto da Walt Disney in Irlanda, Darby O’Gill e il re dei folletti (1959) diretto da Robert Stevenson (Connery ha partecipato anche a una puntata della serie Disneyland, sempre del 1959) che potrete vedere sulla piattaforma Disney Plus. E’ un momento importante nella sua carriera, anzi l’attimo fatale. Sean veniva dal teatro e dagli sceneggiati tv (un Macbeth, e il conte Vronsky in Anna Karenina). Fu infatti proprio vedendo quel film tutto fate gnomi e spettri che il produttore Albert Broccoli (e sua moglie), architetto con Harry Saltzman della più famosa saga cinematografico della storia, gli  007, si accorse di un attore di secondo piano, poco più di un caratterista, che nel ruolo di Michael McBride simpatizzava con il re dei folletti che doveva invece sfrattare dalla sua fattoria e nella scena finale fa a cazzotti con il teppistello del paese e lo massacra. “E’ un duro, ma sa muoversi con grazia!”. Alto bello muscoloso e dalle folti ciglia scure proletarie era il Bond perfetto anche se in un primo momento Ian Fleming restò male, era “troppo grezzo, un rude e sardonico scozzese dalla voce possente. Non è meglio Cary Grant”? Poi si auto-criticò. Non va sottovalutato il fatto che Harry Salzman (che poi ha avuto due cani, uno di nome James e l’altro di nome Bond) assieme a John Osborne aveva precedentemente prodotto opere come Ricorda con rabbia e fondato una sua compagnia, la Woodfalls Films, assieme a Tony Richardson, producendo Sabato sera domenica mattina. Veniva insomma dal cinema arrabbiato d’arte.
Non si può comprendere l’esplosione di Connery nel 1962 senza considerare che in quel momento Londra era la capitale dell’arte mondiale, non solo del cinema. Teatro (Osborne e gli arrabbiati, Peter Brook e Glenda Jackson ), moda (Mary Quant, Twiggy… Carnaby Street), arti plastiche (Richard Hamilton e la pop art inglese), design, musica popolare (Beatles, Rolling Stones, Who…), musica colta (Britten) formavano un tessuto pulsante di idee, contenuti e forme ricche ed esplosive. Mentre Hollywood viveva il momento peggiore della sua storia, il manierismo cool e pretenzioso e rigido dei suoi kolossal pompeur, l’Europa aveva conquistato i mercati mondiali con opere a basso costo, e alta naturalezza e spregiudicatezza anarchica. Lindsay Anderson, Tony Richardson, Richard Lester, Edgar Reisz, Lorenza Mazzetta si avvalevano di testi radicali e di “forze della natura” performative. Pensiamo solo ai magnifici dieci attori (con Sean Connery) del momento: Peter O’Toole, Michael Caine, Oliver Reed, Albert Finney, Alan Bates, Richard Burton, Richard Harris, David Hemmings Dirk Bogarde (ah, anche Tom Courteney). I “rudi” anti borghesi (Harris, Finney, Reed) e i “morbidi” dalla sessualità ribelle (OToole, Bogarde) e lui, l’ago della bilancia. Il duro che si muove con grazia, che colpisce con classe come Cassius Clay e diventa un oggetto di spietata caccia sessuale femminile. Il contrario dei playboy dell’epoca, da Porfirio Rubirosa Maurizio Zanfanti, il latin lover della riviera romagnola. Pinewood oltretutto si avvale dell’esperienza delle “leggende viventi di Hollywood” come Joseph Losey, Jules Dassin, Ben e Norma Barzman, Doland Ogdden Stewart, John Barry e Cy Endfield che il fanatismo bigotto dei conservatori Usa gli aveva regalato. E anche dell’eccellenza tecnologica dei suoi studi che attirerà presto la nuova generazione di Lucas e Spielberg, in cerca di attrezzature adeguate al loro “pensiero sensibile”, alla materializzazione della loro fantasia sconfinata e galattica.
Ma i 7 007 a parte – 3 di Terence Young, 2 di Guy Hamilton, uno di Lewis Gilbert e di Irvin Kershner –  che con Marnie di Hitchcock e La collina del disonore  di Lumet completa la sua filmografia degli swinging sixty, la capacità di non farsi schiacciare da Bond si vede dalla crescita espressiva del decennio 70 e 80, sempre all’inseguimento di progetti anticonformisti e di qualità. Zardoz di Boorman (1974), Il vento e il leone di John Milius (su Roosevelt Theodor e l’Africa, del 1975), L’uomo che volle farsi re di John Huston, I banditi del tempo di Terry Gilliam, Robin e Marian di Richard Lester  (1976). E ancora con Lumet Rapina record a New York del 1971 e Assassinio sull’Orient Express con Albert Finney nel ruolo di Poirot (1974). A volte si pensirà di un film, Avengers per esempio. A volte si entusiasmerà, per Entrapment, di Joe Amiel del 1999 anche perché toccherà il suo cachet record, 20 milioni di dollari. Se pensiamo che per Dr.No (007 Licenza di uccidere) aveva guadagnato 20 mila dollari, e 1.250.000 dollari per il suo ultimo Bond, Mai dire Mai (Never Say Never Again) del 1983, quando la calvizie di un 53enne (ma aveva iniziato a perdere i capelli fin dall’età di 17 anni) dovette essere nascosta da una parrucca costata ben 52.000 dollari. La distribuzione United Artists garantiva un budget di lusso.

Per altre curiosità su Sean Connery, qui il link al blog originale, firmato, naturalmente Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri
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