CANNES 59 – "Non è necessario perdersi nel deserto marocchino o essere nel centro del quartiere di Shibuya per provare la sensazione di sentirsi soli…". Incontro con Alejandro Gonzales Iñárritu
Il regista, produttore e sceneggiatore Alejandro Gonzales Inarritu ha presentato in concorso al Festival Babel, scritto insieme a Guillermo Arringa (sceneggiatore dell'opera prima di Tommy Lee Jones, “Le tre sepolture”) e interpretato da Brad Pitt, Cate Blanchett e Gael Garcia Bernal.
Il regista, produttore e sceneggiatore Alejandro Gonzales Inarritu, nato in Messico nel 1963, si è rivelato sulla scena internazionale nel 2000 con il suo primo lungometraggio Amores perros, con il quale ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero. Quest'anno è in concorso al Festival di Cannes con Babel, scritto insieme a Guillermo Arringa (sceneggiatore dell'opera prima di Tommy Lee Jones, Le tre sepolture) e interpretato da Brad Pitt, Cate Blanchett e Gael Garcia Bernal.
Quale è l'idea alla base del suo film?
L'idea di Babel ha le sue radici nel distacco dal mio paese, ma anche dal mio stato d'animo attuale, che è quello di uomo sempre in movimento. Babel non risponde tanto alla domanda "da dove vengo?", ma alla domanda "dove vado?".
Una delle caratteristiche del suo cinema è quella di creare storie parallele che si incrociano, può dirci qualcosa riguardo a questa scelta stilistica?
Sono stato sempre attratto dalle coincidenze, dalle storie parallele. Personalmente vedo la vita come una successione di frammenti. La linearità e la cronologia non mi sembrano in grado di rendere compiuto il senso dell'esistenza.
Si può considerare Babel un film sull'incomunicabilità?
Si può dire che Babel è un film sull'incomunicabilità, ma per me, l'intenzione principale del film, è quella di mostrare quanto siamo vulnerabili e fragili come essere umani, infatti, non è necessario perdersi nel deserto marocchino o essere nel centro del quartiere di Shibuya per provare la sensazione di sentirsi soli. La più terribile delle solitudini è quella nella quale noi facciamo l'esperienza di sentirci soli. Nel mio film non parlo di barriere e di frontiere fisiche, visibili, dal momento che i veri limiti sono in noi, nei pregiudizi che esistono nelle nostre culture.
Quale motivo la spinta a scegliere Babel come titolo?
Mi piaceva inglobare tutte le idee della comunicazione umana, le sue ambizioni, la sua bellezza e i suoi problemi, in una sola parola. Ho pensato a diversi titoli, ma nessuno mi soddisfaceva. Mi sono messo allora a pensare alla storia della Genesi e il quadro ha preso senso. Il titolo a assunto la consistenza di una metafora per il film. Ognuno di noi parla la propria lingua, differente da quella degli altri, ma tutti appartengono alla stessa umanità.
In quali condizioni e stato girato Babel?
Il film è stato girato in piena libertà e indipendenza. Io cerco di dirigere film personali, cercando di reperire i finanziamenti. Questo mi permette di avere il tempo necessario per sviluppare la sceneggiatura, di fare ricerche, di scegliere il cast, e, fatto ciò, di stabilire il budget e di mettermi alla ricerca dei partners utili alla distribuzione del film.
Quale è stata la principale difficoltà che ha incontrato nel corso di questa avventura?
La più grande difficoltà è stata quella di dirigere attori professionisti e persone comuni, che non avevano mai visto una macchina da presa prima di allora. Dovevamo girare delle sequenze frammentate, a volte a distanza di diversi giorni. Ma l'aver cercato di creare un'alchimia tra le parti è stata una vera e propria lezione di umiltà e di umanità che rifarei anche domani.
Cosa si aspetta da questa selezione nella competizione ufficiale del Festival?