CINEMA. Festa internazionale di Roma 2007 – "Trovare il giusto equilibrio tra immagini e testo". Incontro con Julie Taymor

Una carismatica Julie Taymor parla del suo ultimo film incentrato sulle canzoni dei Beatles. Tra la passione per il teatro, le maschere, la musica e le performance agit-prop la regista racconta come ha lavorato per costruire il suo ultimo film, un viaggio psichedelico tra le parole e le note dei fabfour.

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Cosa della sua impostazione teatrale e delle sue esperienze sul palcoscenico è presente nel film?

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Julie Taymor – Ho fatto molte esperienze teatrali, da Shakespeare fino al musical. Ho sempre creduto nella forza dei testi letterari e nella possibilità del teatro come mezzo, ancora prima del cinema, capace di trasformare le parole in una creazione visiva. In ogni spettacolo teatrale come cinematografico è importante saper trovare il giusto equilibrio tra immagini e testo.

 

Come ha affrontato le canzoni dei Beatles che oramai sono divenuti dei classici della musica contemporanea?

 

Elliot Goldenthal – Ho pensato al lavoro dei Beatles come se fossero dei compositori. So bene che da un punto di vista tecnico già gli stessi Beatles avevano suonato alla perfezione le loro canzoni e quindi ho cercato di coglierne l’essenza, rielaborando la loro musica per portare alla luce le grandi qualità compositive di questi musicisti.

 

Quante volte ha ripetuto le scene per far cantare in sync gli attori?

 

JT – Il sonoro in realtà è in presa diretta ed una una cosa rara in un musical. Le registrazioni dell’audio avvenivano durante le riprese e quindi non si è dovuti ricorrere ad una sincronizzazione in fase di missaggio audiovideo. Ho cercato di creare una continuità tra canto e recitazione in modo che le due cose non rimanessero scollegate. Con gli attori poi abbiamo fatto sei settimane di prove prima di iniziare le riprese.

 

Come è stato costruito il film? Siete partiti dalla musica dei Beatles per scrivere la sceneggiatura o le canzoni sono state scelte successivamente?

 

JT – Mi è stata proposta una traccia narrativa, quella di un amore tra un inglese e una americana. Poi ho aggiunto parecchie cose io, come i rimandi al Vietnam, agli scontri razziali, a quasi tutti i problemi e le lotte che ebbero luogo in quel periodo. I brani invece sono stati scelti in seguito, abbiamo ascoltato quasi tutte le duecento canzoni di Beatles e poi abbiamo deciso quali usare. In parte poi grazie ad alcune canzoni si sono sviluppate ulteriori tracce, impressioni. La musica in questo film è parte integrante della narrazione, infatti porta avanti sia il dialogo che l’azione stessa.

 

Ha partecipato anche alle coreografie?

 

JT – Si, ho dato una mano. Le maschere, le marionette, gli enormi burattini che si vedono nel film sono stati creati seguendo i modelli e le opere di Peter Schumann, con cui ho lavorato negli anni settanta. Mi ricordo che in quel periodo le manifestazioni a cui partecipavo con Peter sembravano uscire fuori dal teatro agit-prop. Sono state delle esperienze veramente stimolanti.

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