CinemAsia – Esordi giapponesi

riko

Sei film di giovanissimi esordienti che raccontano da prospettive inedite la contemporaneità del Giappone, dai primi amori alla precarietà del lavoro e delle relazioni. Un insieme forse ancora acerbo, ma conturbante di talenti diversi tra loro, che pone le basi del cinema giapponese del futuro. Riparte la rubrica a cura di Asiaexpress

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the charm of othersOgni anno in Giappone vengono prodotti centinaia di film, per un'industria che solo raramente si apre all'estero, ma che è ancora capace di trovare canali distributivi al suo interno sufficienti a un costate ricambio. In questo ecosistema complesso resistono spazi in cui anche i giovani riescono a farsi strada – come ad esempio il Pia Film Festival, nato nel 1977 con il preciso intento di coltivare esordienti, e la sezione Japanese Eyes del Tokyo International Film Festival, vetrina sulle produzioni autoctone, spesso indipendenti. È qui che sovente si nascondono piccole sorprese, in grado di porre le basi per il cinema giapponese del futuro (dal PFF in fondo sono passati autori oggi riconosciuti come Kurosawa Kyoshi, Sono Sion, Lee Sang-il, Kumakiri Kazuyoshi e stelle emergenti come Ishii Yuya). Ed è da qui che provengono alcune proposte inusuali, come The Charm of Others di Ninomiya Ryutaro, The Town of Whales di Tsuruoka Keiko, Riko di Yumiba Aya o, un gradino indietro, From Here to Nowhere di Kawai Ken, Last Days of Summer di Ishiyama Tomomi e Shady di Watanabe Ryohei.

The Charm of Others racconta di un gruppo mal assortito di uomini che lavora in un centro riparazioni di macchinette distributrici. Incomprensioni, bullismo, esperienze sessuali e punizioni corporali costellano una storia buia e colma di umorismo nero, che il giovane Ninomiya Ryutaro – qui anche sceneggiatore, montatore e attore – assembla tramite long take con macchina fissa, per mettere in risalto un cast composito e introverso. Uno stile già riconoscibile che accentua la caratterizzazione dei personaggi come isole a sé stanti, in cui la comunicazione è stentata, crepitante.

the town of whalesMolto più classico è il racconto di formazione adolescenziale The Town of Whales, che segue tre ragazzi delle superiori di una città di periferia in trasferta a Tokyo, per cercare il fratello maggiore di una di loro. Tsuruoka Keiko, gioca in casa con la lunga tradizione di film scolastici, in cui i tormenti amorosi si fondono con dubbi esistenziali. L'intreccio è scoperto, ma colpisce la semplicità espositiva di un triangolo di pulsioni represse che si perde in una lunga notte di inseguimenti e rinunce.

Più concettuale è Riko, spaccato dell'incontro tra due persone agli opposti: Yuriko, una giovane introversa, inizia a vivere a casa di Shota, uomo di mezza età che ha abbandonato un lavoro dirigenziale. Yumiba Aya sceglie lo spaesamento come chiave di lettura: il rapporto tra i due protagonisti non è mai chiarito – non sono amanti, non sono conoscenti, semplicemente convivono, tra discussioni filosofiche con senza tetto che abitano nel bosco e incontri casuali di giovani in riva al mare. Una prospettiva radicale – assenza di colonna sonora, progressione narrativa limitata al finale simbolico – che può spiazzare lo spettatore fino a irritarlo, ma che riesce a rivelare una forte personalità.

From Here to Nowhere è un on the road di formazione rabbioso, in cui un freeter (dall'unione dell'inglese “free”, libero, e del tedesco “arbaiter”, lavoratore, per simboleggiare i giovani sotto-impiegati e nel dedalo del part-time) incontra una ragazza con i capelli biondi dai modi diretti che per sopravvivere svende il suo corpo. I due fuggono da Tokyo senza una meta prestabilita, finendo con l'incontrare un'umanità depressa che nasconde la propria indole sotto una facciata di normalità. Kawai Ken adotta un registro povero, privo di filtro verso i suoi protagonisti, capace di esporne senza compiacimento i nervi scoperti. I dialoghi scivolano spesso nell'esagerazione fatalistica e in un giovanilismo fastidioso, ma nel complesso la metafora dei due alieni dai capelli scolorati che vagano in un Giappone senza più bussola rimane dirompente.

last days of summerPer il suo esordio Ishiyama Tomomi sceglie una storia corale, persa in un piccolo paese montano in cui si intrecciano i destini di due ragazze, le loro famiglie, un lavoratore stagionale e una ricercatrice universitaria: Last Days of Summer, che si svolge durante gli ultimi giorni della campagna elettorale che deve scegliere la nuova guida della prefettura, interseca meditazioni complesse su violenza sessuale, fantasmi dell'età adulta, paura del diverso, diffondersi dei gossip nei piccoli centri e l'avanzare della crisi economica. Con attori non sempre all'altezza, ma lontani da stereotipi di bellezza patinata, la parabola ha una qualità nostalgica e universale, che espone senza giudicare, con la forza di provocare domande non banali.

Infine Shady, che rimane probabilmente il prodotto più completo dal punto di vista commerciale, ma anche meno sorprendente da quello emotivo. Misa è una liceale non troppo avvenente ormai abituata al suo status di reietta, per questo rikosi sorprende quando Izumi, tra le ragazze più corteggiate della scuola, preme perché diventino amiche. La progressione della loro conoscenza svela però secondi fini inquietanti. Kawai Ken ha uno stile spumeggiante, empatico nei confronti delle due giovani, ma l'esplosione drammatica del finale è esasperata, fuori registro, in contrasto con la costruzione impalpabile della prima parte. Rimangono ottime caratterizzazioni e un buon impianto produttivo.

Sei film molto diversi tra loro, nella portata e nel grado di maturità raggiunto, ma che dalla loro prospettiva parziale riescono a esporre le potenzialità di registi anche molto giovani (tre donne e tre uomini, praticamente tutti nati tra il 1986 e il 1988). Il mercato giapponese è particolare, con tanti film prodotti annualmente, ma pochissimi successi al botteghino per le pellicole autoctone, che quindi hanno budget sempre risicati: nonostante questa impasse, i giovani filmmaker sono agguerriti, pronti a sperimentare, in una catena virtuosa che parte dalle istituzioni, come i festival, per puntare sul rinnovamento.

 

La rubrica è a cura di Asiaexpress

 

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