DVD – "Mariti ciechi", di Erich von Stroheim
Erich von Stroheim, con Mariti Ciechi, sua prima opera recentemente restaurata, e meno toccata da proibizioni e tagli censori, riesce a deformare l'immaginario convenzionale, bigotto, ipocrita, pedante del cinema hollywoodiano della fine degli anni dieci. Edita CG Home Video
Titolo originale: Blind Husbands
Anno: 1919
Durata: 98'
Distribuzione: CGHV
Genere: commedia
Cast: Erich von Stroheim, Sam De Grasse, Francella Billington, T.H. Gibson Gowland
Regia: Erich von Stroheim
Formato DVD/video: 1.33:1
Versioni: con didascalie originali e con didascalie originali e sottotitoli italiani.
Extra: Il racconto; la genesi; la critica
IL FILM
Dietro e davanti la macchina da presa von Stroheim riesce a deformare l'immaginario convenzionale, bigotto, ipocrita, pedante del cinema hollywoodiano, tanto che i soliti paladini dei codici morali si scagliano contro di lui per fermarlo, paralizzarlo e renderlo innocuo. Così di Stroheim rimane un'opera monca, impossibile da ricostruire nella sua integrità, perché la filosofia di Stroheim era la stessa di un Welles o di un Eisenstein. La sua idea di cinema doveva combaciare solo col prodotto finale che aveva pensato e non umiliarsi ai tempi, agli schemi delle produzioni cinematografiche coeve. Nel cinema di Stroheim va cercata innanzitutto, come ha ben sottolineato Alessandro Cappabianca (in Von Stroheim, La Nuova Italia, Firenze, 1979, pag. 15) citando Blanchot: “L'accenno alla mostruosità dell'individuale introduce uno spiraglio più sottile, sul cinema come gioco perverso di relazioni, reticolo o incastro di simboli, segni e fantasmi, luogo semiologico, sì, ma particolarmente aperto a quegli improvvisi incontri con l'Altro di cui parla Blanchot nell'Infinito intrattenimento: incontri in cui l'Altro, sorgendo di sorpresa, costringe il pensiero a uscire da se stesso e l'Io a scontrarsi con la mancanza che lo costituisce e da cui si protegge”. Questa irruzione dell'altro veicolata dal mostruoso si traduce in un effetto di realtà ben diverso da quel semplicistico realismo con cui si etichettano i film di Stroheim. Secondo Cappabianca è l'effetto flagranza di quel corpo di troppo spesso caratterizzato da un corpo in meno, vale a dire un corpo tagliato, deforme, mutilato.
Il primo film di Stroheim, Mariti ciechi (1919), deriva direttamente da una commedia scritta da lui anni prima e intitolata La vetta. Fu il famoso produttore Carl Laemmle ad imporre il titolo più commerciale ed apparentemente diretto al cuore del tema. Ma a ben vedere, se il richiamo alla vetta ha quasi un sapore filosofico, allude chiaramente alla insoddisfazione umana che brama il raggiungimento della vetta: la vetta dell'orgasmo, la vetta come raggiungimento di un obiettivo, in questo caso la scalata alpinistica, la vetta anche come illusione di dominare dall'alto, la vetta come luogo e status irrinunciabile di tutte le passioni e i desideri che premono per essere esauditi e soddisfatti. Il film contiene tutti gli elementi fondamentali della filmografia di Stroheim. La divisa, in primo luogo, del personaggio del luogotenente von Streuben attiva tutte le tendenze feticistiche fin dalle prime scene. In una carrozza siedono il luogotenente von Steuben, interpretato naturalmente da Stroheim, il dottor Armstrong (Sam de Grasse) e la moglie Margaret (Francilla Billington). Nelle inquadrature di dettaglio vediamo la sciabola tra le gambe di Von Steuben agitarsi per l'eccitazione, provocata dal velo del cappellino di Margaret che viene sollevato scoprendo il volto della donna, laddove negli occhi appare subito disagio e agitazione, infatti chiede un po' imbarazzata l'orario. Anche il dettaglio su Margaret, della gamba coperta da una calza nera, rende la sequenza già pregna di lussuria ed erotismo. Sensazione che è amplificata dalla chiara indifferenza del marito che legge tranquillamente un libro. In una sola scena von Stroheim riesce a comunicarci non solo l'erotismo esplicito derivato dal desiderio del luogotenente, ma anche la serie di segni feticistici (che non si ferma qui ma continua con le pipe e le sigarette) che alludono ad un sesso non preordinato, ma libero di espandersi in tutte le direzioni e soprattutto pronto ad incontrare l'esperienza della Diversità, il corpo dell'Altro, seguendo esclusivamente le pulsioni istintuali, naturali e non precostituite dalla legge del codice civile.
IL DVD
Non c'è molto da dire su un dvd che doveva dare conto di una edizione restaurata ed invece non include alcun contenuto extra che poteva informare anche il grande pubblico su quell'importante lavoro che svolgono le cineteche del mondo, ma chissà perché si fa ormai finta che non esistano, che siano quasi peggio delle istituzioni museali, sicuramente più reattive, almeno in Italia. All'estero certo è un'altra cosa. Così un capolavoro del cinema muto viene strombazzato senza alcun criterio, forse solo per far numero in una edizione, Dcult, che è poi figlia della Ermitage, che da molti anni fa orecchie da mercante, non mantiene le promesse e propone edizioni zoppicanti. Le schede informative sono più numerose di quelle prospettate nel menu principale e riescono ad offrire una panoramica abbastanza esaustiva sulla figura di Stroheim. Quanto alla nostra impressione visiva del master utilizzato, il presunto restauro non ci regala immagini pulitissime, ma abbastanza nitide, anche nei colori diversi derivati dai processi d'imbibizione della pellicola, per gustare al meglio un'opera preziosa, per comprendere meglio la filmografia di Stroheim.