Enrico Maria Salerno, il "cane sciolto" del cinema italiano

A 10 anni dalla sua scomparsa (il 28 febbraio 1994), il Comune di Roma e il "Centro Studi Enrico Maria Salerno" rendono omaggio al grande attore e regista, il 24 giugno in Piazza del Campidoglio alle ore 21.00.
Noi lo ricordiamo con un brano di Laura Andreini Salerno, dal libro "Eutanasia di un filmaker" a cura di Fabio Francione per Falsopiano

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MEMORIA

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di Laura Andreini Salerno


 


 


Chiamavamo Enrico "il Generale". Noi eravamo la "Grand'Armée". Come ogni generale che si rispetti poteva essere terribile. Le sue regole erano ferree, guai a chi sgarrava. Ma poi il nostro generale era capace di gesti di generosità grandiosa: portare tutta la Compagnia a Venezia a cena all'Harry's bar, a I.ondra, da Wheeler ostri­che e champagne. Affittare un pullman per raggiungere uno sperduto maso in Trentino e farci trovare una spettacolare cena tirolese con seguito di orchestrina folk. E quindi noi amavamo il nostro generale. "Noi", la Grand'Armée, eravamo la sua compagnia di teatro, della quale faceva parte anche Pillo, minuscolo e orgogliosissimo Yorkshire (un chilo di peso), indivisibile dal suo padrone, ed io, moglie complice, detta Bumba o anche Pagliaccio. Su e giù per l'Italia, da un teatro all'al­tro, da una città ad un paesino, per anni siamo stati compagni di viaggio e di vita di questo straordinario artista.


Ma chi era Enrico? Contemporaneamente bambino e vecchio, padre e figlio, saggio e folle e, in una cosa, a senso unico: la generosità. Enrico è stato l'uomo più generoso che abbia mai incontrato. Prodigo di sé in tutto, capace di gesti che lasciavano spesso l'interlocutore stupefatto, prima e poi conquistato per sempre. Non c'è persona che lo abbia conosciuto come amico e frequentato nel lavoro (aspetti che spesso andavano sovrapponendosi) che non lo ricordi per l'umanità e lo straordina­rio carisma


Intransigente, spesso duro nel volere sempre il massimo dagli altri, per primo lo pretendeva da se stesso. Quello che mi colpì di lui quando lo incontrai per la prima volta – un provino alle prime armi per un suo spettacolo – fu il bel viso severo, l'e­spressione assorta e il lampo luciferino negli occhi, sotto le famose sopracciglia all'insù. Pensai: oddio quest'uomo è terribile. Mi ammutolì la sua voce di bronzo, la più bella mai ascoltata. Una frustata ed una carezza insieme. "Ma parli così tosca­no anche sul palcoscenico?". E nel dirlo un improvviso sorriso aprirgli tutta la fac­cia. Un viso antico diventato ad un tratto come di bambino. E a me parve di averlo conosciuto da sempre, come un archetipo che si rivelasse, come quando ci si avvicina ad una qualche verità. La sua "presenza" era cosi forte che, tanto sul palcosce­nico quanto nella vita, permeava lo spazio intorno: un'energia quasi tangibile. Fui stregata. Ma credo che chi ha conosciuto Enrico, abbia provato qualcosa di simile e ne sia rimasto per sempre incatenato.

Quel provino andò bene. Fui scritturata per Harvev di Mary Chasey e da lì cominciò il mio viaggio con lui.


Nel lavoro Enrico era famoso per il suo rigore. In teatro arrivava sempre per primo ed era I'ultimo ad andarsene. Non tollerava la superficialità. Cosi sul set. Programmava tutto in anticipo. Esigeva che i sopralluoghi prima dei ciak fossero minuziosi e che ogni cosa (dall'inquadratura allo stop) venisse stabilita in accordo col direttore della fotografia e i capi reparto costumi, scenografia, trucco, ecc. Il suo approccio al lavoro – meticoloso fino alla pignoleria – faceva sì che amasse circondarsi di professionisti come lui. Preferiva lavorare con gente che aveva imparato ad apprezzare. Ed, infatti, dalle collaborazioni professionali nascevano grandi amici­zie, quasi "innamoramenti".


Sul set si creava un clima di distensione ma anche di concentrazione molto forte. E quando Enrico si arrabbiava diventava terribile. L'ho visto incenerire interlocuto­ri diventati minuscoli davanti a lui. Poteva essere così temibile che molti pensava­no avesse un carattere tremendo. Ma chi gli era più vicino sapeva di quanta dolcez­za fosse capace. Solo che non lasciava passare nulla e questo obbligava tutti noi a dover dare sempre il massimo. Io lavoravo con lui a stretto contatto. In teatro come attrice e nel cinema o televisione come assistente-aiuto-coautrice delle sceneggiatu­re.


Ho ricordi bellissimi anche delle nostre furibonde discussioni. Lui teneva le sue posizioni ma io, orgogliosa fino alla caparbietà, non mi lasciavo intimorire. E qual­che volta, alla fine, mi ha dato ragione (forse convinto, forse per stanchezza?). Mi detestava quando non mollavo, e nello stesso tempo vedevo nei suoi occhi una tene­rezza divertita. Gli stavo simpatica. E questa è la cosa che ancora oggi mi inorgo­glisce di più.


E' stato un artista discusso. Se moltissimi lo stimavano e lo amavano, molti sono stati i suoi detrattori, soprattutto perché era un uomo scomodo. Mai artista di "palaz­zo", ma famoso come "cane sciolto", uomo impegnato senza bandiere.


Finito il lavoro si trasformava. "Bumba, andiamo". E con Pillo sotto braccio ed il seguito di amici-collaboratori, gli piaceva andare a scovare piccole trattorie fami­liari o ristoranti famosi e portarci tutti a festeggiare. C'era sempre qualcosa per cui dovevamo fare festa, un motivo diverso per stare insieme. Erano serate memorabili per l'allegria, e il "generale" Enrico era sempre il più giovane di tutti noi, il più spiritoso. E' così che mi piace ricordarlo: con l'immancabile Celtique fra le dita e un bicchiere di bourbon alzato a brindare.


Siamo stati insieme tredici anni, fino alla sua uscita di scena dalla vita: la parte più difficile che gli sia capitata ed anche quella che ha sostenuto con maggior gran­dezza. E' stato l'esempio di dignità che mi ha lasciato Enrico, la sua eredità spiri­tuale e artistica, che ho voluto non andasse dispersa e che è stato il motore per la nascita del Centro Studi che ho fondato in sua memoria e che porta il suo nome. Sono stati anni di lavoro, di promozione culturale, di battaglie non facili perché la


Compagnia non andasse dispersa, di fatiche e soddisfazioni, ma sempre con Enrico presente e vivo nei nostri cuori. Presenza ancora tangibile in mezzo a noi.


 


 


Dal libro "Enrico Maria Salerno, eutanasia di un filmaker", a cura di Fabio Francione, Edizioni Falsopiano, 2002


 

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