EURO 2020 – La libertà è Immobile?

Ci piace pensare che Ciro Immobile sia il demone di Laplace, un essere superintelligente capace di conoscere la posizione di tutti i suoi compagni e avversari prima dello sviluppo di ogni azione

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Ha fatto ovviamente il giro del mondo la sceneggiata, o presunta tale, di Ciro Immobile, caduto in area belga dopo un leggero contatto e rialzatosi miracolosamente per abbracciare i compagni di squadra al goal di Nicolò Barella. Che disagio, ancora più insostenibile dell’inginocchiamento per una causa di colore, movimento di immobilità per la libertà, quindi anacronistico nell’epoca della mobilità per la competitività. Evidentemente non siamo portati ad inginocchiarci e siamo l’unica nazione repubblicana superstite di questi europei, quindi non più avvezza alla genuflessione reale (anche se ci sarebbe sempre il Papa in sostituzione del Re…). D’altronde la sceneggiata, come il melodramma lirico, sono prodotti tipicamente nostrani, di fioritura monarchica, che tutti ci invidiano. Stavolta però siamo risultati fuori contesto, fuoricampo, tanto da farci sussurrare, con la solita e irritante tracotanza italica, che ci voleva solo (una) Barella per Immobile a terra, così da farlo riprendere, anche se sicuramente abbiamo considerato di tutta la gara la migliore (non) azione dell’attaccante laziale. Infatti, dagli spalti: “Immobile, resta te stesso fino in fondo, Immobile…”.

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A proposito, da qualche settimana sugli spalti londinesi invece si intona: “Football’s Coming Home…”. E il calcio storico fiorentino dove lo mettiamo? Calcio in livrea, padre del soccer e del rugby, quindi prenderebbe due piccioni con una fava. Come confessare agli inglesi che la Regina è di Reggio Emilia e il Re di Reggio Calabria. Un colpo al cuore, anzi due… Guai farli innervosire proprio adesso, dopo la plateale simulazione di Immobile, che ha fatto scatenare ironici ed anche pesanti commenti d’Oltremanica. Immobile poi, di soppiatto, frugando sguardi intorno a se, si è alzato e, tomo tomo, con la corsetta da “pickpocket” ha raggiunto i suoi, mimetizzandosi in un abbraccio. Poteva scegliere di restare ancora a terra, magari prolungando l’agonia, lasciando insinuare qualche dubbio sull’effettivo fallo subito. Solo cosi, forse, avrebbe evitato gli sfottò e qualche insulto pesante, che trovano, in questi casi in cui siamo coinvolti, sempre l’appiglio per riaprire la solita piaga tricolore, sulla nostra innata, quanto arbitraria, predisposizione a recitare, ballare, cadere, piangere, ridere, mostrarsi infermi ogni 27 del mese e poi correre felici il giovedì con gli amici del calcetto. Insomma, in poche parole, mostrarsi al mondo un popolo assistenzialista per antonomasia. Essenza o libero arbitrio?

Immobile, con il suo imbarazzante gesto, riapre, in qualche modo, il secolare dilemma. Le nostre scelte sono determinate da forze che sfuggono al nostro controllo? Ma davvero il libero arbitrio è incompatibile con le leggi dell’universo? Siamo burattini in balia di forze al di fuori del nostro controllo? Ammettere e confermare ciò, filosoficamente e scientificamente, sarebbe una catastrofe esistenziale senza eguali, una mega pandemia in cui i contagiati non si conterebbero, ma si coltiverebbero. Se si dimostrasse che il libero arbitrio non esiste, “scoppierebbe una guerra culturale molto più violenta di quella che si è combattuta sul tema dell’evoluzione”, ha scritto Sam Harris (leggere articolo su Internazionale di questa settimana a firma di Oliver Burkeman). Ciro Immobile non dovrebbe avere sensi di colpa per la sua furbata. Ma è fondamentale credere nel libero arbitrio, ne va della nostra vita illudersi che, appunto, Ciro Immobile, abbia letto tutto in anticipo, che Verratti, come predica Mancini, andasse in pressione in avanti sull’ossessiva voglia di uscire palla al piede del calcio moderno, che trasmettesse palla a Barella, il quale approfittasse della scarsa propensione dei difensori a stringere le marcature fino al limite del fallo, come nel calcio pre-var, e così si divincolasse in libertà in mezzo a tre marcantoni, sotto effetto della “ludovico van”, e liberasse un tiro ad incrociare senza scampo.

Ci piace pensare che Ciro Immobile sia il demone di Laplace, un essere superintelligente capace di conoscere la posizione di tutti i suoi compagni e avversari prima dello sviluppo di ogni azione. Il biondo di origini napoletane, figlio di Zeman (come Insigne e Verratti), è tipo il nostro Dottor Manhattan, che si è appropriato di un corpo dalle movenze dinoccolate per governare le interazioni di ogni interprete in campo e predire il futuro nella sua interezza. Proprio lui, il nostro Watchman, il più insospettabile, colui che sembra essere l’emblema dello spettatore dello svolgersi del proprio pensiero, che lo guarda, lo ascolta, e spesso gira lo sguardo dalla parte sbagliata. La libertà, quindi, più che Immobile, è tra l’illusione e il nostro retroterra, tra l’inginocchiarsi e tuffarsi, sulle strade che ci ritroviamo a percorrere, alla deriva nel tempestoso campo verde della sorte.

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