FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Bloody Daughter", di Stéphanie Argerich (CinemaXXI)

Bloody Daughter

La forza di Bloody Daughter è proprio nel raccontare solo marginalmente la Martha pianista, se non attraverso gli occhi di una bambina che si nasconde sotto al piano, abbandonando l'energia delle sue interpretazioni per adottare un ritmo molto più calmo, adatto alla riflessività a cui si lascia andare la Martha donna, quella che si confronta con la solitudine e la vecchiaia.

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Bloody DaughterIl video come mezzo d'indagine nella ricerca della propria identità e nel confronto con la propria famiglia. Stéphanie Argerich, figlia di due mostri sacri della musica classica come Martha Argerich e Stephen Kovacevich, giunta alla sua seconda maternità, e forse spinta proprio da questo evento, decide di confrontarsi con queste due figure genitoriali alquanto sui generis, tentando di risolvere conflitti e tensioni sotterranee, raccontando se stessa e, in parte, le proprie sorelle. Un racconto personale, narrato in prima persona dalla regista, adottando il linguaggio documentario più classico fatto di interviste, momenti più o meno rubati, filmati d'epoca, ai quali si aggiunge inevitabilmente l'elemento sonoro, veicolato da vecchi vinili che ancora rendono eterna la musica, ma soprattutto grazie ai filmini di famiglia, memorie visive che riescono a rivelare un lato del tutto diverso dei due musicisti rispetto alla loro immagine pubblica.

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La forza di Bloody Daughter è proprio nel raccontare solo marginalmente la Martha pianista, se non attraverso gli occhi di una bambina che si nasconde sotto al piano, abbandonando l'energia delle sue interpretazioni per adottare un ritmo molto più calmo, adatto alla riflessività a cui si lascia andare la Martha donna, quella che si confronta con la solitudine e la vecchiaia. Ne nasce un ritratto inedito, lontano dall'agiografia, che non teme di svelare con tutta onestà anche i suoi lati più negativi e le sue fragilità. Ma forse, ancor più riuscita è la parte dedicata al padre, al quale si guarda con tenerezza in pochi fugaci momenti, così come nella vita reale, che però riescono a coinvolgere completamente fino a una delle scene finali nella quale Stéphanie tenta di farsi riconoscere legalmente dal padre. È solo qui che emerge davvero con forza, forse tardivamente, Stéphanie come terzo personaggio, per tutto il film sempre un po' in disparte, schiacciata dalla presenza ingombrante dei suoi genitori. Nonostante tutto, Bloody Daughter si afferma come un debutto interessante, in grado di svelare l'anima di due musicisti attraverso un linguaggio diverso dalla musica.

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