"Flightplan – Mistero in volo" di Robert Schwentke

E' un fascino oscuro quello del film, perché sembra voler inglobare al suo interno la lezione hitchcockiana, raffreddandola, o rivelandone la freddezza espressiva, trasformandola quindi in una sorta di puro ed astratto esercizio formale.

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Film che al contempo irrita ed intriga, Flightplan è un'ulteriore variazione/omaggio ad un maestro del cinema, nella fattispecie è un omaggio a Hitchcock e, per essere più precisi, è evidente il riferimento nel plot a The Lady Vanishes (fatte salve tutte le debite differenze tra i due film). Ma ogni riferirsi a, ogni rimando nel cinema ha un motivo, un senso, per cui non è peregrino chiedersi "Perché Hitchcock?" Perché Robert Schwentke, regista tedesco (ma formatosi in California) al suo primo film hollywoodiano ha sentito la necessità di confrontarsi in modo così esplicito con un'icona così potente come quella hitchcockiana? Forse si tratta del tentativo di riattivare il cinema come classica forma d'espressione riprendendone la sua forma più classica e sperimentale insieme o, più probabilmente, si tratta del tentativo di mostrare la propria tecnica, il proprio virtuosismo proprio nel confronto con il maestro riconosciuto. La seconda ipotesi è confermata nella sequenza d'apertura a Berlino. Qui Schwentke costruisce le sue atmosfere sospese – che già introducono una nota di mistero nel dramma di una donna il cui marito morto deve essere riportato in volo dalla Germania fino agli Stati Uniti – muovendo la macchina da presa mediante spostamenti circolari e fluidi, e utilizzando in modo ostentato un montaggio che sospende la continuità temporale, facendo compiere ai personaggi movimenti avanti e indietro nei ricordi, per ricostruire il contesto entro cui può partire il mistery vero e proprio. La tecnica e il virtuosismo sono esibiti, mostrati, come in alcuni dei film più "espressivi" di Hitchcock (The Rope, ad esempio), ma con un eccesso che rischia di rovesciare completamente l'intenzione registica di partenza. Schwentke non dosa la sua tecnica, ma ne fa sfoggio, la mostra immediatamente, anche quando il set si restringe (solo in apparenza, in realtà gli spazi dell'aereo si moltiplicano sequenza dopo sequenza). Ed ecco allora il secondo livello della sfida: costruire il thriller sulla scomparsa di una bambina all'interno di un aereo e sulla sua disperata ricerca da parte della madre (che tutti pensano sia pazza, visto che nessuno ricorda di aver visto la bambina).

È qui però che il film inizia a mostrare il suo fascino, proprio nel riuscire ad opporre due forze, quella opaca e translucida dell'aereo (forza ottusa che oppone resistenza, senza sguardo), e la forza quasi ossessivamente animalesca di Jodie Foster (la volontà senza tregua ed istintiva al massimo grado della madre che cerca sua figlia, contro tutto e contro tutti), che cozza contro le strutture del buon senso (se nessuno ha visto la bambina, forse la madre non è sana di mente), contro i regolamenti dell'aereo e, soprattutto contro i luoghi comuni del film hollywoodiano "liberal" post 11 settembre (i sospetti si concentrano inizialmente su un passeggero di origine araba, poi dimostratosi innocente). È in questo contrasto tra il translucido e l'organico, tra l'asettico veicolo ultramoderno e il corpo nervoso e combattente di Jodie Foster (contrasto molto più forte ed efficace che in Panic Room di Fincher), che risiede il fascino maggiore del film. Un fascino comunque oscuro, perché sembra voler inglobare al suo interno la lezione hitchcockiana, raffreddandola, o rivelandone la freddezza espressiva, trasformandola quindi in una sorta di puro ed astratto esercizio formale, di movimento rigoroso del cinema all'interno di un set che – come l'appartamento di The Rope o i vagoni del treno di The Lady Vanishes – si rivela poi vuoto e disabitato (non a caso Jodie Foster e sua figlia sono i primi passeggeri ad entrare nell'aereo, completamente vuoto, e gli ultimi ad uscire, svelandone così la natura implicita di set spettrale). Ed ecco dunque spiegata l'irritazione e il fascino che il film offre allo spettatore: duplice sensazione implicita in ogni sfoggio virtuoso, in ogni forma che si mostra come puro movimento, mostrando però, al contempo, uno scarto, qualcosa che non si lascia ridurre al calcolo, alla prevedibilità.

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Titolo Originale: id.


Regia: Robert Schwentke

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Interpreti: Jodie Foster, Sean Bean, Peter Sarsgaard, Marlene Lawston, Ina Barron


Distribuzione: Buena Vista International Italia


Durata: 98'


Origine: Usa, 2005

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