Gianni Minà, Una vita da giornalista, di Loredana Macchietti

Il documentario sul giornalista torinese, scomparso lo scorso 27 marzo, mette ordine con successo quella enorme scatola del passato che è stata la sua avventurosa vita professionale. Da oggi in sala.

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Erano: Gabo, Renzo, Cassius, Bob, Fidel, Sergio, Eduardo, Massimo, Roberto, Vinicius, Walter, Pietro, Rigoberta, Mick, Diego Armando e molti altri in quegli anni di speranze e illusioni che Gianni Minà con la bonomia di un torinese per nulla falso, ma molto cortese, ha coltivato e fatto coltivare con le interviste e la sua schiena dritta che non si è piegata davanti a nessun potere, se non a quello della morte che lo ha colto lo scorso 27 marzo, lasciando un cumulo di memorie perfino indistinte, uno zibaldone di ricordi che hanno segnato lo sport, la politica, il cinema e così finivano a segnare la nostra vita.

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Loredana Macchietti con la sua Fiat 500 e questa pila infinita di ricordi, che restano interi nonostante gli anni passati e che tutto fanno sembrare preistoria, prova con successo a mettere ordine i quella enorme scatola del passato che è stata la sua avventurosa vita giornalistica. È così che Gianni Minà. Una vita da giornalista, diventa un album vivente e pulsante di vita perché è quella stessa che cercava Minà, quella vita che si poteva manifestare in una riflessione politica, che diventava rivoluzione del pensiero o politica, o in un match di boxe, oppure in una corsa veloce sul filo del record del mondo.
È sull’onda di questa memoria televisiva che ha accumulato un passato glorioso, che oggi, purtroppo sarebbe inimmaginabile per l’inesistenza, per volontà o meno non è dato sapere, di una capacità immaginativa che si scrolli di dosso quella patina di ipocrisia costante che la governa e di cui, invece – ce ne accorgiamo guardando quei brani dei servizi di Minà – non vi era traccia in quegli anni. In quegli anni in cui le immagini erano più sporche, ma il messaggio che arrivava, la comunicazione era più limpida.
È per questo che il documentario di Loredana Macchietti resta come un neurone attivo della memoria che ci appartiene, di un calcio bonario e di uno sport che aveva altri fini oltre che quelli di vincere medaglie, di una politica internazionale che alimentava i cuori e i cervelli, di una televisione che sapeva mettere in ordine tutto questo e di cui Gianni Minà è stato maestro. Non è detto che tutto ciò non si ripeta in quei cicli storici oggetto dei pensatori del passato, ma abbiamo fretta e aspettiamo con trepidazione un altro giornalista sensibile e attento, emozionato davanti al bello, curioso e coraggioso che ci porti là dove erano: Gabo, Renzo …

Regia Loredana Macchietti
Distribuzione: Zenit Distribution
Durata: 100’
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
1.5 (2 voti)

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