Hopper/Welles, di Orson Welles

Conversazione/capolavoro tra Orson Welles e Dennis Hopper. 130′ di durata, due personaggi, un volto, pellicola in b/n. Si parla di tutto: cinema, politica, religione, sesso, istruzione. Fuori concorso

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It’s all true. Partiamo dal titolo. Hopper/Welles. Non Hopper & Welles. I due nomi non formano una coppia, ma una dicotomia. Hopper e Welles sono separati da una barra obliqua. Come fossero due entità in relazione ma inconciliabili. Due differenti campi. Anche se poi in realtà ne vediamo uno solo, quello di Dennis Hopper, intervistato e inquadrato in primo piano o in mezza figura da più cineprese contemporaneamente. Welles è una voce ai margini dell’inquadratura, onnipresente ma senza un corpo. Il corpo di Welles è quindi la sola voce, come ai tempi degli esordi radiofonici e de La guerra dei mondi recitata in diretta nel 1938.

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Ma andiamo con ordine. Novembre 1970. Orson Welles è nel pieno delle riprese di The Other Side of the Wind, il film che lo ossessionerà per tutta l’ultima parte della sua vita e che non riuscirà mai a completare né a distribuire – sarà visibile, come è noto, solo dopo l’intervento di Netflix nel 2018. Sta raccogliendo materiale per il suo film che è una sorta di docu-fiction sulla Hollywood di fine anni ’60. Decide di intervistare l’attore e regista di Easy Rider, che con il suo primo film nel 1969 ha rivoluzionato linguaggio e industria del cinema americano allo stesso modo o quasi del Welles del 1941 con Citizen Kane.

Anche Hopper è nel pieno delle riprese di un altro progetto produttivamente folle e interminabile: The Last Movie, che è un “film nel film”, proprio come The Other Side of the Wind. La conversazione parte da lì. Hopper racconta il suo progetto, la sua frustrazione nel doversi privare di alcune sequenze, immagini, pezzi di film. Welles risponde che per lui vale l’esatto opposto: non vede l’ora di tagliare i suoi film, perché disprezza le immagini che produce. Romanticismo del cinema (Hopper) / Decadentismo del cinema (Welles).

130′ di riflessioni teoriche, aneddoti, confessioni, gin tonic. Due personaggi, un volto, pellicola in b/n. Si parla di tutto: cinema, politica, religione, sesso, istruzione. La camera oscura in cui conversano i due attori registi trasfigura (imprevedibilmente?) il subconscio della Storia e dell’Uomo. In dissolvenza incrociata mentale scorrono gli anni di Roosevelt, del maccartismo, la paranoia dei complotti politici e le rivolte delle nuove generazioni (“i giovani non mi hanno mai interessato, ma ora cominciano a piacermi perché sono violenti” afferma Orson).

Hopper/Welles quindi. Quasi una costola di Io, Orson Welles, il libro intervista di Peter Bogdanovich. Anche quello un incontro tra un giovane regista e un vecchio maestro. Due generazioni a confronto. Con ritmo incalzante e tono quasi inquisitorio il “regista” Welles sembra voler vampirizzare l’autore Hopper, svuotarne le considerazioni poetiche, le convinzioni ideologiche. Emerge ancora una volta la morbosa bulimia wellesiana nei confronti della New Hollywood, il rabbioso desiderio di assorbirne e scardinarne il meccanismo. Nell’incontro tra i due si cela già il crepuscolo di The Other Side of the Wind. Hopper crede che i film possano fare la rivoluzione. Welles dice che sono le persone organizzate a cambiare il mondo. “Credi davvero di fare la rivoluzione attraverso i film?”, “Io voglio semplicemente fare film personali” risponde Hopper. “Cos’è un film personale?”.

Dal regista che si crede “Dio” si passa al regista “mago”, definizione cara a Welles, che ovviamente anche qui gioca la carta dell’artificio. Dennis infatti si rivolge a Orson chiamandolo Jake, perché in verità sta parlando ad Hannaford, il protagonista di The Other Side of the Wind  interpretato da John Huston. La conversazione diventa allora rappresentazione. “Messa in scena” di una dialettica, registrazione/presagio di un imminente fallimento politico e generazionale (“mi informo attraverso la televisione”/”non leggo libri”). Nella rappresentazione improvvisata di una notte a Hollywood emerge la preveggenza di entrambi: Hopper mette in scena il se stesso che sarebbe diventato negli anni a venire, mentre Welles prova a spiegare a se stesso (e a Hopper) il film che avrebbe voluto fare. It’s all true?

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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