I Saw the TV Glow, di Jane Schoenbrun

Il nuovo film A24 di Schoenbrun è un manifesto identitario della cultura queer e un’ode all’ossessione televisiva adolescenziale dalla potenza immaginifica eccezionale. BERLINALE 74. Panorama

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La scoperta della propria identità può essere un processo davvero doloroso, un periodo in cui tutto quello che consideravi essere la realtà viene stravolto e niente appare più come prima. Serve un atto di coraggio incredibile per accettare se stessi e l’immagine che vediamo riflessa allo specchio, soprattutto se quell’immagine è così difforme dalle aspettative sociali che ci circondano. Jane Schoenbrun, regista trans e non binaria, aveva già affrontato il tema della dissociazione dal mondo fisico e l’identificazione con l’immagine virtuale nel suo film d’esordio We’re All Going to the World’s Fair. Con I Saw the TV Glow, passato prima al Sundance e poi alla Berlinale, raggiunge una nuova dimensione immaginifica con il potere di rappresentare chi un processo simile lo ha vissuto in prima persona, oppure lo sta affrontando. Prodotto da A24 e dalla Fruit Tree di Emma Stone e Dave McCary.

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Siamo a metà anni Novanta, Owen (Ian Foreman prima e Justice Smith dopo) ha tredici anni e frequenta la Void High, una scuola che sembra avere solo un altro alunno. Si tratta di Maddy (Brigette Lundy-Paine), una ragazza un paio d’anni più grande che Owen incontra mentre sta leggendo una guida agli episodi di The Pink Opaque, misterioso programma TV tra la soap opera e il soprannaturale con al centro Isabel e Tara, due ragazze adolescenti. Owen è troppo piccolo per vederlo, dato che viene trasmesso alle 22.30 e a quell’ora dovrebbe già trovarsi a letto, oltre al fatto che il padre (Fred Durst dei Limp Bizkit inquadrato come una presenza oscura e malvagia) lo ritiene uno show per ragazzine. Così Maddy inizia a invitarlo di nascosto nella casa che condivide col patrigno violento. Gli anni passano e i due sono sempre più ossessionati dalla serie TV, Maddy rivela che Isabel e Tara per lei “sono come una famiglia” e, cosa più importante, che a lei “piacciono le ragazze”. Quando Maddy chiede all’amico se gli piacciono i maschi o le femmine, Owen risponde nell’unico modo che riesce a elaborare in quel preciso momento della sua esistenza: “Non lo so. Credo che mi piacciano i programmi televisivi”.

I Saw the TV Glow racconta di come le immagini che guardiamo possano avere il potere di vederci a loro volta, persino quegli aspetti che ancora non siamo pronti ad accettare e considerare. È questo che attira in maniera incontenibile i due protagonisti, la possibilità di essere visti. Una mezz’ora a settimana in cui sentirsi in pace con se stessi e la propria identità, un momento in cui l’universo sbagliato in cui ci si trova passa in secondo piano e finalmente si accetta la propria personale anomalia. Maddy e Owen hanno l’impressione di entrare in contatto con una dimensione diversa, come se quella serie fosse un messaggio alieno che solo loro, in qualità di eletti, siano in grado di decifrare: “A volte non ti sembra che The Pink Opaque sia più reale della vita reale?”. Siamo ciò che guardiamo, dunque. Oppure percepiamo ciò che siamo. In ogni caso per alcuni individui è più facile identificarsi con il mondo virtuale che con la vita reale, ed è proprio questo l’elemento horror e angosciante del film.

Tra Twin Peaks e Buffy l’ammazzavampiri per restituire quel mood da TV anni Novanta e il Charlie Kaufman di Synecdoche, New York per l’ultimo atto, Schoenbrun crea un paesaggio visivo impressionante con una fotografia vivida tra i colori pastello e il neon che lo proiettano in un attimo da esordiente outsider ad autore marchiato A24. In questo senso è esemplare il lungo piano sequenza che segue Owen mentre degli appunti di Maddy in corsivo rosa scorrono animati sullo schermo, il tutto avvolto da un brano elettronico ipnotico. La forza espressiva del film eccede spesso nel simbolismo più surreale e frenetico che potrebbe infastidire buona parte del pubblico, ma è il rischio naturale che scaturisce da un’opera di questo genere. Nonostante ciò il film mantiene un buon equilibrio anche nei momenti di follia totale perché non perde mai di vista l’ambigua dicotomia sogno-incubo che rappresenta il portale televisivo. Un rifugio da quella realtà ostile che spesso non ci accetta e non ci rappresenta, ma a cui prima o poi dovremo rinunciare per tornare a vivere, nonostante tutto il dolore e il caos.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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