"La 25° ora", di Spike Lee

Stupendo questo Spike Lee, sempre più classico e maturo, nuovo e imprevedibile, sconcertante e commuovente per la sincerità che sa strappare al suo film

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La venticinquesima ora è quella del dolore, dell'espiazione, forse della resurrezione: Spike Lee alla Berlinale conta i minuti dell'America sull'orologio della cattiva coscienza di un paese che evidentemente (si) sente colpevole/innocente. La 25° ora è un grande film, di sicuro il primo vero lavoro nato dalle macerie del "ground zero", un canto terminale in attesa di rigenerazione dedicato a una città come New York che sopravvive a se stessa.


I titoli scorrono sullo skyline newyorkese tagliato in notturna dall'effetto speciale di un fascio di luce che riproduce le due torri… Fantasmi in resurrezione che si spingono verso il cielo, ma non c'è retorica – questo è Spike Lee, il meno conciliato degli americani! Il film però è un calvario, letteralmente, la via crucis di Monty Brogan, uno spacciatore incastrato da chi gli sta vicino che trascorre le 24 ore al termine delle quali dovrà consegnarsi alla prigione, destinato a trascorrere i prossimi sette anni della sua vita…


Una giornata per pentirsi, per riflettere sulle colpe che  hanno portato questo uomo né buono né cattivo, di sicuro sbagliato, a meritarsi il castigo. Il tono è dolente, trascinato come una litania che scandisce i versi di un blues arrabbiato ma consapevole…


Spike Lee dilata i tempi, espande anche troppo la parte centrale e il film ne risente. Ma questo conta poco, il ritmo narrativo di La 25° ora sta tutto nella rabbia dismessa di un autore domato dalla storia, che non smette di interrogarsi sul suo amato/odiato paese. Incredibilmente cristologico, il film si consegna a momenti indimenticabili per la loro potenza, in particolare quelli che strappano la cortina della mestizia per consegnarsi alla rabbia o alla speranza: il rap bianco che Monty recita davanti allo specchio, una litania di "fuck you" sbattuta in faccia a tutta New York City, quella bianca, quella nera, quella dei preti, quella degli eroi, quella degli spacciatori, quella di tutti… Sbattuta in faccia a se stesso, in fin dei conti: perché Monty è New York City, il suo dolore, la sua sporcizia… Quasi un Travis del terzo millennio, dopo la caduta delle torri…

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E poi c'è il sogno di una resurrezione, percorso lungo il tragitto della venticinquesima ora, appunto, in macchina, verso la prigione, in compagnia di un padre che vorrebbe allontanare da Monty l'amaro calice, raccontandogli una fuga di tre giorni per una resurrezione in Texas, altro nome, altra vita, altra America, nuova frontiera, lontano dalla colpa e dal dolore…  Reale? Immaginario? Il sogno di Spike Lee si chiude sul "Boss" che canta una delle sue ballate, i titoli di coda si srotolano sul sonno di Monty, sul volto solcato del grande Edward Norton… Stupendo questo Spike Lee, sempre più classico e maturo, nuovo e imprevedibile, sconcertante e commuovente per la sincerità che sa strappare al suo film….


 


Titolo originale: 25th Hour
Regia: Spike Lee
Sceneggiatura: David Benioff
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Barry Alexander Brown
Musica: Terence Blanchard
Scenografia: James Chinlund
Costumi: Sandra Hernandez
Interpreti: Edward Norton (Monty Brogan), Philip Seymour Hoffman (Jacob Elinsky), Barry Pepper (Francis Xavier Slaughtery), Rosario Dawson (Naturelle Riviera), Anna Paquin (Mary D'Annunzio), Brian Cox (James Brogan), Tony Siragusa (Kostya Novotny), Levani (zio Nikolay)
Produzione: Spike Lee, Jon Kilik, Tobey Maguire, Julia Chasman per 40 Acres & Mule Filmworks/Gamut Films/Industry Entertainment/Touchstone Pictures
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Durata: 134'
Origine: Usa, 2003


 


 

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