La doccia, di Zhang Yang

Affidandosi ad una scrittura audiovisiva tanto fluida e lineare quanto inerte, Zhang Yang raffigura la distanza che separa tradizione e modernità, identità e spersonalizzazione, padri e figli, passato e presente.

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Un'illustrazione distesa come un nastro diritto, senza strappi, né strati, lungo le linee di una corrente prevalentemente emotiva. Ordinata raffigurazione della distanza che separa tradizione e modernità, identità e spersonalizzazione, padri e figli, passato e presente. Resta inscritta in questo quadro dialettico immediato, o – più propriamente – resta chiusa in questo schema elementare l'opera seconda di Zhang Yang – premiata, tra l'altro, a San Sebastian, Rotterdam, Toronto -, produzione indipendente realizzata nel 1999. Alla mossa sequenza inaugurale (in cui un uomo usufruisce di una sofisticatissima doccia metropolitana), percorsa da scandite sonorità elettroniche, il regista consegna i tratti di una sintetica iconizzazione della modernità e ad essa contrappone l'intero corpo del film, prevalentemente chiuso negli spazi di un'antica sauna pechinese. In quegli stessi spazi, nei ritmi acquatici di un microcosmo perfettamente organico, residuale traccia di una cultura in via di sparizione, prende posto la figura disorganica, separata, di Da Ming (un uomo d'affari che ha abbandonato il padre Liu, proprietario della sauna, ed il fratello minore Er Ming, malato di mente, per trasferirsi nella più moderna regione di Shenzhen) che specifica e definisce l'articolazione propriamente narrativa dell'assunto dialettico in cui il film si rispecchia e ne fornisce una declinazione in chiave di dramma familiare. Zhang concentra dunque la propria attenzione attorno alla definizione del confronto tra la coppia Liu-Er Ming, in integrale armonia con l'universo conchiuso della sauna, e Da Ming, ne segue i prevedibili sviluppi (il consapevole recupero delle proprie origini da parte del figlio maggiore, il suo sostituirsi al padre nella cura del fratello malato), vi accosta infine piccoli ritratti laterali (i vecchi che giocano con i grilli da combattimento, il cantante timido, il marito infelice, ecc.), rimarcando i tratti distintivi di una cultura che sta per essere dispersa dall'avanzata della modernizzazione. Affidandosi ad una scrittura audiovisiva tanto fluida e lineare quanto inerte, Zhang fatica a trovare profondità e spessore, dà solo a tratti l'impressione di promuovere strategie compositive definite (l'uso della ripetizione relativo alle corse serali lungo le strade del quartiere o alle esecuzioni di 'O sole mio), sbilancia infine lo stesso assetto complessivo del film, annettendovi ampi inserti di un remoto e favolistico passato. Assieme alla misurata prova degli interpreti, gli esiti di maggiore compiutezza risiedono allora in alcuni, non numerosi, passaggi in minore, in cui si tratteggia l'identità silenziosamente dolorosa e complessa dei legami rappresentati.

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Titolo originale: Xizao (Cina); Shower (USA)
Regia: Zhang Yang
Sceneggiatura: Liu Fendou, Cai Shangjun, Huo Xin, Zhang Yang, Diao Yinan
Fotografia: Zhang Jian
Montaggio: Yang Hongyu
Musica: Ye Xiaogang
Scenografia: Tian Meng
Interpreti: Pu Quanxin (Da Ming), Jiang Wu (Er Ming), Zhu Xu (Maestro Liu), Zeng He (He Bing), Zhang Jin Hao (Hu Bei Bei), Lao Lin (Li Ding), Lao Wu (Feng Shun)
Produzione: Imar Film, Xi'an Film Studio
Distribuzione: Keyfilms
Durata: 92'
Origine: Cina 1999

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