La programmazione di Fuori Orario dal 24 al 30 settembre

Omaggi a Nino Taranto, Jean-Daniel Pollet e al critico cinematografico Louis Skorecki. Tra i film, Un grande amore di McCarey, Il pirata Barbanera di Walsh e L’uomo leopardo di Tourneur

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 24 settembre dalle 2.10 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

LUCI DEL CINEMA’ (10)

NINO TARANTO, dal cafè chantant alla televisione 

a cura di Paolo Luciani

Nome d’arte di Renato Ranucci, Nino Taranto è nato a Torino nel 1912, figlio di cantanti d’operetta, fin da bambino recitava in cori e filodrammatiche. Dal 1929 al 1935 si esibì come ballerino di tip tap, batterista, comico. Dopo una prestigiosa parentesi con i fratelli Schwarz (AL CAVALLINO BIANCO) tornò al varietà accanto , alle sorelle Di Fiorenza, quindi accanto alla prima moglie Tina De Mola. Nel 1949-1950 fu con Wanda Osiris, quindi sempre in proprio con crescente successo fino alle commedie musicali con Garinei e Giovannini. Si dedicò anche alla prosa leggera, oltre ad essere autore di hit musicali. Presente anche al cinema, dove con IL CAPPOTTO (1952) di Lattuada e POLICARPO, UFFICIALE DI SCRITTURA (1959) di Soldati oltre a LA PASSEGGIATA (1953) da lui diretto, offre le sue prove migliori.

“…le connotazioni piccolo borghesi del personaggio, così nette nelle commedie musicali degli anni Sessanta, sembrano apparentemente contraddette dal ventennale esercizio comico pseudo surrealista precedente. In verità le filastrocche, l’abbigliamento bizzarro, le macchiette assurde che ne hanno consacrato la fama , si possono far risalire ad una specie di adolescenza del personaggio del GIORNO DELLA TARTARUGA. La volgarizzazione di modi petroliniani e di Campanile si iscrive in quella lunga tradizione provinciale, surrealgoliardica che va dal Marc’Aurelio fino ad Alto Gradimento. (da SENTIMENTAL  Almanacco Bompiani 1975)

“Fin dal suo esordio come capocomico, nel 1937/1938, Taranto eccelse nel repertorio macchiettistico alla Maldacea, con spassose canzoni sceneggiate di Pisano e Cioffi, con il consueto tono criptopornografico del cafè chantant: CICCIO FORMAGGIO, AGATA, PEZZA PIZZO E MAZZA con le sue reiterate rime basate sulla doppia alveolare affricata apicale atte ad evocare senza mai nominarlo (ma azzardandosi fino a “caiazzo”) l’organo genitale maschile. QUAGLIARULO SE NE VA, basato invece sull’iterazione del gruppo fonico-anale “ulo” e sue assonanze. Fedelissimi autori di Taranto furono Nelli e Mangini, che, sulla scia di Galdieri, aggiunsero alla componente macchiettistica una vena di tenue protesta individualistica contro le disgrazie quotidiane, mista ad una sorta di scettico fatalismo partenopeo: le numerosissime riviste scritte in quegli anni erano completate anche da quadretti coreografici e, se non raggiungevano lo sfarzo degli spettacoli di Macario o di Galdieri, si avvalevano di originali ed intelligenti trovate, come l’uso della proiezione cinematografica contemporanea all’azione teatrale con comico effetto di contrasto  Ma la forza di questi spettacoli stava nel testo e nel  talento di Taranto e di attori come Titina De Filippo, che a partire dalla primavera 1939 fece coppia con Taranto fino alla stagione 1941/1942 , costituendo una specie di risposta all’altra grande coppia Toto’- Magnani,”

“Alle spalle dell’attore Taranto c’è la grande tradizione del teatro “minore” napoletano che ha come componenti fondamentali il cafè chantant da una parte e la “sceneggiata” dall’altra. Tra i grandi comici della rivista, Taranto è quello che ha ripreso in maniera più completa ed intelligente l’eredità della figura canonica del cafè chantant: il cantante macchiettista… in queste macchiette emerge anche una autentica vocazione d’attore sulla linea gloriosa del teatro dialettale napoletano. Taranto è l’unico comico del varietà che sia approdato con plausibile naturalezza alla prosa.  I suoi sketches avevano un’impronta più recitata di quella degli altri comici, avevano bisogno di attori che completassero il suo personaggio e non fossero puri portatori di battute (Enzo Turco, più “compare” che spalla, Dolores Palumbo, ecc.). (da SENTIMENTAL,  Almanacco Bompiani, 1975)

IL BARONE CARLO MAZZA       

(Italia, 1948,  b/n, dur., 81′)

Regia: Guido Brignone

Con: Nino Taranto, Silvana Pampanini, Enzo Turco, Frano Coop, Carlo Lombardi

Silvana Pampanini è Rosa Pezza, una bella e giovane ragazza, costretta a mille maneggi e sotterfugi per entrare in possesso di una ricca eredità; in ultimo è costretta a sposarsi con lo spiantato e bizzarro barone Carlo Mazza , Nino Taranto Sembrerebbe tutto a posto, ma il barone, stanco delle scappatelle della moglie, decide di divorziare..

N COME NAPOLI T COME TARANTO

Teleselezione di successi di Nino Taranto

(Italia, 1957,  b/n, dur., 90’)

Regia: Vito Molinari

Con: Nino Taranto, Dolores Palumbo,  Aurora Banfi, Nelly Celli, Luci D’Albert, Lylly Granado, Toni Uci, Enzo Turco, Giulio Marchetti, Delia Scala

Eccezionale documento Rai che appena  nel 1957 ricostruisce la vita professionale di Taranto, a 30 anni dai suoi esordi napoletani e a 20 dal suo trionfale debutto sulla scena milanese. Dalle sue famose macchiette, (con un saluto a Taranto dal suo riconosciuto ispiratore, Gennaro Pasquariello), a momenti delle sue riviste, con al fianco il meglio del teatro leggero e comico del tempo: Luci D’Albert, Delia Scala, Dolores Palumbo, Enzo Turco.  Da segnalare la presenza inaspettata di Nelli e Mangini, gli autori “storici” di Taranto…

 

Venerdì 29 settembre dalle 1.40 alle 6.00

UN FILM NON COME GLI ALTRI. OLTRE E DOPO LA NOUVELLE VAGUE (OMAGGIO A JEAN-DANIEL POLLET) (14)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

MÉDITERRANÉE

(Francia, 1963, col., dur., 42’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Quarantacinque minuti di immagini girate durate un viaggio di 3500 km intorno al Mediterraneo, organizzate secondo un montaggio seriale: “uno dopo l’altro i pezzi del gioco vengono ripresi e verranno rilanciati, diversi e uguali, nello stesso modo e in modo diverso”. (dal commento di Philippe Sollers)

“Per Méditerranée ho fatto un viaggio di tre mesi e mezzo, percorso quindici paesi attorno al bacino del Mediterraneo, ma ho rifiutato subito di fare un documentario. (…)  Per cui ho filmato una sola inquadratura, in modo di poter utilizzare al montaggio le inquadrature come parole, come segni. Ho filmato le manifestazioni di culture sepolte ma che ci fanno segno. Volevo a ogni costo preservare la presenza libera delle cose. Mi è più facile filmare le cose che le persone. Credo molto al ‘partito preso delle cose’ di Francis Ponge (…) Méditerranée è un film libero nel senso in cui cerca di mostrare che si possono far saltare le distinzioni arbitrarie tra reale e immaginario, fra passato, presente, futuro, senza entrare in uno “spazio  mentale” devitalizzato, poiché il gioco dell’analogia e delle corrispondenze tra immagini molto concrete  – ispirandosi ad alcuni temi molto semplici, il più evidente dei quali è la morte della cultura – ha per unico scopo quello di cercare di ridare alle cose, ai volti mostrati, il loro ‘potere di rivelazione originale’ e dimenticato”. (Jean-Daniel Pollet).

“In questa banale serie di immagini a 16 sulle quali alita lo straordinario spirito del 70, sta a noi ora di saper trovare lo spazio che solo il cinema sa trasformare in tempo perduto… O piuttosto il contrario… Ecco, infatti, piani lisci e tondi abbandonati sullo schermo come un ciottolo sulla riva…”. (Jean-Luc Godard)

BASSAE                                   PRIMA VISIONE TV

(Francia, 1964, col., 8’53”, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Testo: Alexandre Astruc

Voce: Jean Negroni

Pollet filma il  tempio di Bassae (Vasses), sito archeologico greco situato in montagna, nel cuore del Peloponneso.

“Bassae è davvero il più bel luogo ‘chiuso’ al mondo. Da quando sono tornato dal mio viaggio nel Mediterraneo è il posto che mi ossessiona di più. (…) Malgrado il difficile accesso ci sono andato spesso. Volevo fare un film su quell’oggetto, che ha perduto ogni significazione, ma che possiede un potenziale misterioso fantastico. Ho chiesto a Philippe Sollers di scrivermi un commento, ma il produttore, davanti al risultato, ha avuto paura. Ho chiesto allora a Aòexandre Astruc, di scrivere un altro testo, perché il film potesse essere visto”. (J.-D. Pollet). [La prima versione, col commento di Sollers, è considerata perduta]

L’ORDRE                                       PRIMA VISIONE TV

(Francia, 1973, col., 1973, 44′, v.o. sott., it)

Regia, fotografia: Jean-Daniel Pollet

Davanti alla macchina da presa un lebbroso greco racconta la sua vita. In compagnia di altri malati, ha trascorso lunghi anni a Spinalonga, un’isola la largo di Creta: Erano stati reclusi lì perché morissero lontano dagli sguardi delle persone ‘sane’. In seguito i lebbrosi sono stati trasferiti in un ospedale nei pressi di Atene, Facendo da contrappunto al racconto dell’uomo, che parla senza rancore e senza collera – ma nello stesso tempo invita tutti gli uomini  alla resistenza, alla rivolta –   la macchina da presa penetra nei corridoi, nei vicoli e nelle rovine della prigione abbandonata di Spinalonga, mentre una voce furi campo commenta alla seconda persona singolare il fenomeno dell’esclusione sociale: “La lebbra dei medici è l’ordine”.

“A vent’anni, Godard scriveva: la creazione artistica non fa che ripetere la creazione cosmogonica, non è che il doppio della storia’. Il cinema di Pollet illustra perfettamente simile riflessione. Vi è infatti anche della storia, anche, in Jean-Daniel, non soltanto una storia sviluppata in racconto come nel ciclo Melki, non soltanto una storia sforante sul politico – come sottolinea fin dal titolo L’Ordre, quello che non marginalizza più, che non esclude più, ma semplicemente decreta non vivo il vivo. C’è del Sofocle in questo film e Raimondakis è un fratello di Antigone – ma soprattutto la storia della storia. Si capisce allora come nei suoi ultimi lavori Pollet riunisca come in opus unico i suoi film precedenti. Si muove contro il tempo, in contrasto e incontro al tempo. E magari, solo Dio lo sa, il cammino del nostro artista cerca di aderire al cammino del mondo, al movimento dell’universo”. (Jean Douchet)

LA CASA È NERA                                        

(Khanehsiahast, Iran, 1963, b/n, dur., 23′, v.o. sott. in it.)

Regia: Forough Farrokhzad

Il 13 febbraio 1967 alle 16.30, Forough Farrokhzad è morta a 32 anni in un incidente automobilistico a Teheran. Era una dei più grandi poeti persiani contemporanei e resta purtroppo la regista di un solo film. Praticamente sconosciuto in Europa, il film fu commissionato alla regista per documentare l’inguardabile: un lebbrosario in Iran. Il dolore, la bruttezza, la deformità delle persone che lo abitano sono visti mirabilmente senza compiacimenti e commiserazione. Ammirato da Chris Marker e riscoperto negli ultimi anni come uno dei grandi capolavori ignorati della storia del cinema, una preghiera laica sulla folgorante bellezza della creazione divina in tutti i suoi aspetti.

“Forough Farrokhzad, che è con Larisa Šepit’ko e Tanaka Kinuyo la necessità stessa del genio femminile nel cinema, immerge la sua splendida poesia, la sua bellissima voce in questo film quasi-unico, prodotto dal compagno Ebrahim Golestan, nel momento più alto del cinema iraniano, perdurante oltre l’alternanza delle censure politiche. “L’ebbra di cinema” potremmo chiamare Forough in questo film che reagisce a un universo di lebbrosi (come in Pollet), e nel finale l’uscita dalla casa nera compie il gesto di Lumière e Comerio”. (Sergio M. Grmek Germani)

L’AQUARIUM ET LA NATION     

(Italia, 2015, col., dur., 31’, v.o. sott., it.)

Di: Jean-Marie Straub

Con: Aimé Agnel

Per i primi sei minuti non c’è suono, il film è muto come un pesce, come a segnare la ricerca di un’empatia, di un rapporto orizzontale con quegli esseri costretti e silenti nella loro dimensione artificiale. La luce di Straub (e Huillet), che ci ha fatto sentire gli alberi e le pietre, dona una lingua finanche ai pesci, l’essere muto per eccellenza. Ma non sentiamo niente, c’è una quiete innaturale, come prima di una tempesta, di un’eclisse o di un terremoto. Il silenzio assorda, manca l’aria, Straub ci mette davanti allo specchio, ci mostra i vetri che ci separano l’un l’altro, l’estraneità e la solitudine. Nella seconda parte c’è un uomo in una stanza, non parla, legge, fermo nella sua posizione, riflette alla luce delle credenze, dei miti e soprattutto sotto le molteplicità delle strutture mentali se “ha ancora senso la nozione di uomo”. Colui che si/ci interroga è Aimé Agnel, psicologo junghiano e scrittore di cinema, soprattutto per i Cahiers jungiens de Psychanalyse, dove ha pubblicato saggi sulle immagini “dall’inconscio” in Fellini, esterno/interno in Ford, sulla separazione tra suono e immagine in Sur quelques films vraiment sonores in cui affronta film di Bergman, Godard, Oliveira e Straub appunto.

SCENEGGIATURA DEL FILM PASSIONE (SCÉNARIO DU FILM PASSION)      

(Francia, Svizzera, 1982, col., dur.,54’, v. o. sott., it.)

Regia: Jean-Luc Godard

Con: Jean-Luc Godard, Jerzy Radziwilowicz, Hanna Schygulla, Michel Piccoli, Isabelel Huppert

Scénario du film Passion è, con Lettre à Freddy BuachePuissance de la parole e Histoire(s) du Cinéma uno dei momenti più affascinanti dell’opera godardiana degli anni ’80 e ’90,  un’opera in diversi capitoli che si è via via costruita nel tempo. E’ un film più emozionante dello stesso Passion, testimonianza dell’impegno del regista in queste opere che sono apparentemente dei “corollari” e invece si sviluppano liberamente come opere autonome: come nella Lettre à Freddy Buache la voce di Godard esita, balbetta, sembra mimare i momenti di incertezza nel corso della lavorazione del film. Per concludere con un incantesimo che è qualcosa di nuovo nel cinema godardiano”. (Suzanne-Liandrat-Guigues, Jean-Louis Leutrat)

 

Sabato 30 settembre dalle 1.30 alle 7.00

“CONTRO LA NUOVA CINEFILIA” nPremio Anno Uno a Louis Scorecki in collaborazione con il Festival I Mille Occhi di Trieste 

a cura di   Roberto Turigliatto

“Il Premio Anno uno della XXII edizione del festival I mille occhi viene assegnato a Louis Skorecki, l’ultimo grande esponente della critica cinematografica francese diventato anche regista, nella vicenda critica che nella seconda metà del 900 ha rivelato tutta la forza, la bellezza e la profondità del cinema. Dopo aver fondato con Serge Daney la rivista di soli due numeri “Visages du cinéma”, egli ha scritto negli anni 60 per “Présence du cinéma” e “Cahiers du cinéma”, per diventare nei decenni successivi il critico di culto del quotidiano “Libération”. Meglio di tutti ha unito l’amore “macmahoniano” per il grande cinema americano con la scoperta del più intimo cinema d’autore europeo: da Jacques Tourneur, Raoul Walsh, Leo McCarey a Stavros Tornes.    Come regista ha realizzato film segreti, di personaggi che appaiono e scompaiono, in una metafisica sensibilità dell’infinitezza del cinema”. (Sergio M. Grmek Germani)

CONVERSAZIONE CON LOUIS SCORECKI (I PARTE)

(Italia, 2023, col., dur., 25’ca)         PRIMA VISIONE TV

Di: Sergio M. Grmek Germani, Giulio Sangiorgio, Roberto Turigliatto

Conversazione registrata il 16 settembre 2023

Scorecki ripercorre il suo lavoro di critico  e di cineasta. Il suo testo “Contro la nuova cinefilia”, pubblicato dai “Cahiers du Cinéma” nel 1978, è stato oggetto di discussioni e polemiche che non si sono ancora spente ed è ormai un classico della critica cinematografica. La conversazione è stata registrata il 16 settembre 2023.

L’UOMO LEOPARDO          

(The Leopard Man, USA, 1943, b/n, 64′, versione italiana )

Regia: Jacques Tourneur

Con: Dennis O’Keefe, Margo, Jean Brooks

Tratto liberamente da L’alibi nero di Cornell Woolrich. In una cittadina del Nuovo Messico una cantante di cabarert pensa di poter fare colpo sul pubblico tenendo al guinzaglio un  leopardo, che fugge durante uno spettacolo e uccide due ragazza. Ma la ballerina e il suo impresario scopriranno un colpevole inaspettato. Splendore del buio nell’ultimo film di Tourneur per la RKO e il produttore Val Lewton, tra i massimi capolavori del regista. Considerato da Scorecki “il più compiuto, perfetto e rappresentativo della serie dei tre film prodotti da Val Lewton”, dopo Cat People e I Walked with a Zombie.

CONVERSAZIONE CON LOUIS SCORECKI (II PARTE)

(Italia, 2023, col., dur., 25’ca)

Di: Sergio M. Grmek Germani, Giulio Sangiorgio, Roberto Turigliatto

Conversazione registrata il 16 settembre 2023

Scorecki ripercorre il suo lavoro di critico  e di cineasta. Il suo testo “Contro la nuova cinefilia”, pubblicato dai “Cahiers du Cinéma” nel 1978, è stato oggetto di discussioni e polemiche che non si sono ancora spente ed è ormai un classico della critica cinematografica. La conversazione è stata registrata il 16 settembre 2023.

Durata 25’ circa.

IL PIRATA BARBANERA      

(Blackbeard the Pirate, USA 1952, col., 97’, versione italiana )

Regia: Raoul Walsh

Con: Robert Newton, Linda Darnell, Keith Anders

Un classico dei film di pirati, in cui il famoso e crudele Barbanera è mostrato alle prese col suo rivale, il capitano Henry Morgan, a sua volta sospettato di complicità con la pirateria.  Inìzialmente previsto dalla RKO sotto la direzione di Val Lewton e interpretato da Boris Karloff. Alla morte di Lewton, nel 1951, la regia è affidata a Raoul Walsh che sceglie come interprete principale Robert Newton. “Opera minore di Walsh e tuttavia indispensabile alla sua filmografia. (…) “Barbanera non è mai stato rappresentato così bene nella sua truculenza, amoralità dismisura. Possiede tutti i vizi e le brame proprie dell’uomo, ma portati a una dimensione sovrumana, che evidentemente affascina e met0te di buonumore il nostro regista. Walsh lo rappresenta in un’atmosfera plastica raffinata che non sembra costargli alcun sforzo. (…) Disegna dei quadri in movimento fugaci e magistrali, degni sovente per il loro splendore, dei grandi pittori spagnoli” (Jacques Lourcelles) 

UN GRANDE AMORE        

(Love Affair, USA, 1939, b/n, 87’32”, v.o. sott., it.)

Regia: Leo McCarey

Con: Irene Dunne, Charles Boyer, Maria Ouspenskaja, Lee Bowman, Astrid Allwyn

Sulla nave da crociera su cui si è imbarcato per raggiungere a New York l’ereditiera promessa sposa, un play boy francese spiantato che aspira a diventare pittore incontra una cantante americana di cui s’innamora. In uno scalo a Madera l’uomo fa incontrare la sua nuova conoscenza alla vecchia nonna, in un’atmosfera mistica, che rivela ai due delle sensazioni mai provate. All’arrivo decidono di mettere alla prova il loro amore e di rivedersi un mese dopo sulla cima dell’Empire State Building “la cosa più vicina la Paradiso che abbiamo a New York). Ma un incidente cambierà il corso della storia. Capolavoro di Mc Carey che ne realizzerà il remake nel 1957 (Un amore splendido, con Cary Grant e Deborah Kerr).

“La prima delle due versioni di un incontro d’amore realizzate da uno dei massimi cineasti: l’esistenza stessa di questo film e del suo “remake” (termine obbrobrioso in questo caso) è l’immagine più vera dell’amore, di corpi (non solo degli amanti, ma anche della nonna nella sua duplice incarnazione) che rinviano il loro incontro. Ed ecco il cinema più necessario, che quando pare finire inizia infinitamente.” (Sergio M. Grmek Germani)

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