Lette e…riviste – Fly Guy

Odia volare, Martin Scorsese. Eppure ha girato "The Aviator", biografia del miliardario Howard Hughes, uno per il quale volare era ancor più importante che correre dietro alle sottane: l'occupazione che lo fece avvicinare al mondo del cinema. Sul set, Ian Christie di Sight&Sound è rimasto affascinato dalle reali proporzioni dell'impresa di Scorsese.

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 "La conosci?", mi sussurrò uno dei colleghi palesemente in soggezione. Non la conoscevo, ma venni subito a sapere che si trattava di Gwen Stefani, la cantante biondo-platino dei No Doubt, prossima al debutto sul grande schermo nei panni dell'affascinante Jean Harlow. L'occasione era una proiezione speciale, organizzata da Martin Scorsese in un teatro di Montreal, della copia personale de Gli angeli dell'inferno (Hell's angels), di Howard Hughes, datata 1930. Il fatto di sedere dietro alla Stefani, mentre guardava la leggenda di Hollywood che presto avrebbe interpretato, era solo l'inizio di una straordinaria visita al mondo scintillante di The Aviator.  Sorprende, per un regista come Martin Scorsese, così immerso nella storia del cinema, che questo sia forse il primo tentativo di trattare del "movie business". Escludendo i suoi documentari sul cinema del passato – da Viaggio personale con Martin Scorsese nel cinema americano (1995), fino a Il mio viaggio in Italia (1999), con un lavoro sul cinema britannico in preparazione – Scorsese ha preferito trattare il tema del cinema in modo indiretto: Il Mago di Oz e Via col vento vengono evocati nel preludio di Alice non abita più qui, mentre il Travis Bickle di Taxi driver dà scioccamente appuntamento a Cybil Shepherd davanti ad un cinema porno, in vero stile New Wave. Gli eroi di Quei bravi ragazzi e Casino possono modellarsi sui film di gangster, ma le loro imprese e i loro destini spesso fanno risaltare il fascino di altri ritratti cinematografici. Sul richiamo voyeuristico del cinema, Scorsese si diverte citando ironicamente L'occhio che uccide, di Michael Powell: "Tutto questo filmare non è salutare"; infatti Hollywood ha sempre nutrito sospetti per i film che rischiano di rovinare l'illusione o di scavare nelle motivazioni dei registi. Louis B. Mayer, che creò e controllò in maniera spietata il "fenomeno" Jean Harlow, era solito opporsi a ciò che "sporcava il nido", credendo che il pubblico dovesse restare estraneo a quel che avveniva dietro le scene.

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Mayer avrebbe certamente odiato un film sulla crescente pazzia di Howard Hughes, che sta alla base della trama di The Aviator. Similmente alle moderne teorie su Giorgio III – che tendono a considerarlo lontano dall'essere semplicemente pazzo – l'intenzione di Scorsese e della sua star (nonché coproduttore) Di Caprio è di rivedere la reputazione di Hughes. Il quale era certamente eccentrico, schizzato, fobico: ma non era forse toccato anche dal genio, o perlomeno da una smisurata ambizione che ha prodotto cose mirabili? La sua più grande aspirazione era senza dubbio volare, e ne Gli angeli dell'inferno egli fece confluire l'esaltazione dei già leggendari aviatori della Grande Guerra con una nuova passione, quella per il cinema. Sostenuto dai fondi derivati dalla sua ricca eredità paterna, Hughes cominciò il film nel 1927, ispirandosi apertamente a due recenti pellicole sulla Prima Guerra Mondiale: La grande parata (1925), di King Vidor, e in particolar modo Ali (1927), di William A. Wellman. Durante la lunga e stravagante produzione, Hughes fu sorpassato dal galoppante successo del sonoro; sempre perfezionista, decise allora di girare nuovamente le scene dialogate, adattando il suo spettacolare girato nelle sequenze aeree ad un film sonoro. Per fare ciò, Hughes scritturò il regista inglese James Whale, giunto ad Hollywood per realizzare la versione cinematografica di un altro successo, molto differente, basato sulla Grande Guerra: Journey's end (1930). Entrambi i film, comunque, sarebbero stati anticipati da un ulteriore inno patriottico: quello sulla predestinata gioventù del 1914-1918, All'Ovest niente di nuovo (1930), di Lewis Milestone, che uscì proprio un mese prima de Gli angeli dell'inferno. La sequenza più spettacolare vista nello studio di registrazione di The Aviator, visitato nell'estate del 2003, fu la ricostruzione della prima de Gli angeli dell'inferno, avvenuta al Grauman's Chinese Theatre di Los Angeles. Sugli edifici degli studios svettava la parziale riproduzione di Dante Ferretti del famoso cinema, lo stesso inaugurato da Cecil B. De Mille nel 1927 con la prima del suo Il Re dei re, e che sarebbe poi stato la sede della cerimonia di consegna degli Academy Awards. […]

Parecchie sere dopo facemmo un misterioso giro in macchina attraverso la vecchia zona industriale di Montreal, per un'anteprima furtiva del successivo progetto degli scenografi: la ricostruzione in scala naturale di parte della fusoliera e di un'ala di una delle più grandi imprese dell'ingegneria aeronautica, lo "Spruce Goose". L'H-4, oppure Hercules, come è più comunemente noto, rimane il monumento più famoso all'ambizione di Hughes. Concepito durante la Seconda Guerra Mondiale per un utilizzo militare, fu ed è ancora il più grande aereo mai costruito, realizzato inizialmente in legno a causa delle ristrettezze dovute alla guerra. Hughes lo provò solo una volta, nel 1947, per dimostrare che non era un inetto quando si sottopose alle inchieste del Senato in merito allo spreco di fondi federali.


Le opinioni circa questo "mostro" sono a tutt'oggi controverse: chi lo considera idealistico e chi la dimostrazione evidente delle ossessioni di Hughes. Ma ciò che importa di quella che, a film terminato, appare come un'opera imponente, è che essa ci fa comprendere qualcosa della visione di Hughes, tanto da aver condotto Scorsese ed i suoi collaboratori a ricrearla. […]


Che questa fosse una storia, almeno in parte, sul fare film ad Hollywood nell'epoca d'oro, è confermato dal susseguirsi di attori che si intonano all'atmosfera prima ancora di calarsi nei panni delle star del passato. Dopo la Stefani, Cate Blanchett – futura Katharine Hepburn, grande amore mancato della vita di Hughes, perlomeno in questa versione -, giunta senza tante cerimonie; poi Kate Beckinsale, interprete di Ava Gardner, un altro amore degli anni '40 di Hughes. Forse l'allusione più intrigante alla storia del cinema è stata l'idea di invitare la montatrice Anne V. Coates, la cui fama risale a Lawrence d'Arabia, già in città per lavorare a Taking Lives di D.J. Caruso, e chiamata ad interpretare uno dei montatori che operano freneticamente alla messa a punto della prima de Gli Angeli del cielo.

Grazie alla montatrice di The Aviator, Thelma Schoonmaker, abbiamo assistito ad una straordinaria sequenza, nella quale la Coates, seduta alla moviola, misurava le riprese a mano come si misura una stoffa, mentre la cinepresa di Richardson (direttore della fotografia, n.d.t.), ruotando tutt'intorno alla stanza, mostra i suoi dodici assistenti – inclusi quelli della Schoonmaker – che lavorano per soddisfare le richieste di Hughes. Certamente un gioco tra amici, ma anche un omaggio da parte dei creatori di The Aviator ad una delle leggende viventi della storia del cinema.


Dopo Montreal la produzione si è spostata in California per girare altri episodi della vita di Hughes. Come sempre, quando si ha a che fare con i film biografici, è stato istruttivo constatare quanto degli sforzi collettivi ed individuali trova posto nel limitato spazio della pellicola. Sebbene The Aviator copra meno di vent'anni della vita di Hughes – dalla metà degli anni '20 alla metà dei '40 – fermandosi a ridosso del suo periodo di solitudine nel deserto (trattato da Jonathan Demme in Una volta ho incontrato un miliardario, del 1980), esso sembra aver offerto a Scorsese un modo per soddisfare le sue stesse spinte "epiche" e il suo incantamento per l'industria americana del divertimento.


Durante gli anni '80 e '90 Scorsese lavorò su progetti riguardanti Gershwin e Dean Martin, che risultarono vani: quando descrisse il secondo come "l'epopea dello show business americano", la Warner inorridì all'idea. Ma Hughes offre una materia naturale per una leggenda, come anche per investigare sulla superbia dell'ambizione estrema: "gli dei rendono prima pazzi coloro che vorrebbero distruggere". Quindi, contro ogni aspettativa, Scorsese è riuscito a perseguire l'obiettivo di analizzare personalità profondamente sdoppiate, così come a soddisfare il desiderio di molti cineasti: ricreare i soggetti del cinema della loro gioventù e realizzare un film gradito ai produttori. Anche al prezzo di fare un film su qualcosa che non ama: volare.


 


Articolo di Ian Christie – da Sight & Sound, gennaio 2005


http://www.bfi.org.uk/sightandsound/2005_01/aviator.php


 


Traduzione a cura di Gloria Gambellini

In circolazione da più di 70 anni, Sight and Sound è la rivista ufficiale del British Film Institute, il prestigioso centro londinese di cultura e diffusione cinematografica. Esce ogni mese in formato patinato e accattivante, più corposo dell'analogo usa "Film Comment" (legato al Lincoln Center di New York), e quasi sempre carico di interviste importanti. Il tono degli articoli è serio, come richiede l'istituzione che lo promuove, ma non serioso, grazie all'approccio disinvolto alla cultura popolare che hanno quasi tutti i media britannici. È raro trovare in copertina film poco noti o scarsamente promossi. In compenso, la materia cinematografica è trattata con entusiasmo e corredata da belle foto ed impaginazione accurata. (M.N.)

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