LIBRI DI CINEMA – "Gianni Amelio" di Emanuela Martini

La monografia di Emanuela Martini su Gianni Amelio, editrice Il Castoro, fornisce una panoramica completa di un cineasta tra i più importanti del cinema italiano contemporaneo. Non mancano correlazioni strette e dinamiche tra cinema e storia italiana degli ultimi cinquant'anni

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GIANNI AMELIO

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Emanuela Martini


Editrice Il Castoro


finito di stampare in agosto 2006


192 pag. – 12,50 euro


 


Tra l'autrice Emanuela Martini e Gianni Amelio scorre forte empatia. Non è soltanto che Amelio cura nel settimanale diretto dalla Martini una rubrica che racconta il "vizio del cinema" (diventato anche il titolo del libro di Amelio che raccoglie gli stessi scritti sul settimanale). Quel "vizio" ha contraddistinto l'infanzia di Amelio e, per dirla con la Martini, la passione del cinema è stata la "salvezza" per molti di noi. Martini e Amelio sono legati dalla medesima ossessione per la scrittura cinematografica, nel senso più ampio che il termine "scrittura" può avere. Lo dimostrano le intense conversazioni contenute nel volume. Come di consueto nelle monografie del Castoro, la galleria iniziale delle dichiarazioni del cineasta comprende vari aspetti dell'universo professionale, umano. In questo caso Martini ha privilegiato la parte umana, laddove l'interpretazione prevalente per avvicinarsi al cinema di Amelio è di sostanziale identità tra cinema e vita. Cosicché campeggiano i titoli "abbracci", "famiglie", "figli", "padri", il simbolico "Rosamunda" (canzone che ricorda la presenza fisica del padre), oltre a quelli professionali come "attori", "finali", "incassi", "mestieri", "produttori".


Tra le riflessioni più eccitanti, il confronto sul ruolo di donne e attrici: "la parola donna non andrebbe confusa con la parola attrice", "è curioso che tutti i registi di donne siano omosessuali" – sono citati Cukor e Almodóvar –  "Io vorrei essere un regista di attrici. Non credo di esserlo mai stato, né penso di poterlo diventare in vecchiaia. Ma adesso comincio a capire che cosa mi sono perso. Nel senso che, dirigendo le attrici, io provo un sentimento, delle sensazioni, delle emozioni particolari, molto ma molto più gratificanti che non dirigendo gli attori". Le dichiarazioni di Amelio sono rivelatrici della fatica di fare cinema, tra sforzi di ogni tipo, situazioni, opinioni, scelte, come quella di avvicinare i personaggi "scritti" agli attori e non viceversa.


L'interpretazione preminente, ma senza presunzioni di sorta, è dichiarata dall'autrice: "troppo onesto con se stesso per non sapere che ogni regista (o scrittore, o altro) racconta sempre la stessa storia, cioè la propria, e che Hitchcock, Truffaut, Antonioni hanno fatto sempre lo stesso film, Amelio non si è mai sottratto all'"autobiografia", anzi ne ha fatto sempre il cardine dei suoi viaggi successivi, con spunti talvolta talmente evidenti da generare poi sommarie "etichette" e sbrigative semplificazioni: meridionalismo, pauperismo, emigrazione, disadattamento giovanile, conflitto edipico, tutti caratteri "onorevoli", tutti elementi importanti del suo percorso umano e artistico, com'è giusto che sia (tant'è che, ogni tanto, ci casca anche questo libro, nella facile trappola interpretativa).

Ma l'autobiografia non sfocia mai nell'autoreferenzialità: mentre compone i tasselli successivi della propria storia, Amelio racconta anche un pezzetto della nostra, individuale e collettiva; mentre esamina il proprio sradicamento "necessario", fotografa anche le conseguenze devastanti della nostra perdita di identità culturale; mentre cerca una ragione, per se stesso, per stare al mondo, ci avverte anche dei pericoli della perdita di senso della società  attuale". È un'importante premessa, perché il saggio è strutturato sulle tappe recenti della nostra storia, fino al governo dell'Unione di Prodi. Le analisi dei film sono così precedute dalla sintetica descrizione di un contesto storico che non riguarda soltanto il protagonista Amelio, ma tutta la società italiana e non solo. Altra caratteristica dell'analisi è il fatto di intrecciare le figure presenti nel cinema di Amelio. In questo senso la Martini, mentre elabora le varie osservazioni su un singolo film, riesce a parlarci contemporaneamente di tutto il cinema di Amelio, come se fosse un corpo vivo pulsante, un corpo che cresce, cambia un po' aspetto, la cui morfologia intima è sempre riconoscibile, a patto di saper individuare i tratti più forti, che sono le figure ricorrenti di padri, fratelli e di viaggi "apparentemente" esotici, come l'Albania di Lamerica e la Cina in La stella che non c'è, ma che raccontano l'Italia di ieri e di oggi. Nella filmografia di Amelio, la Martini considera Così ridevano la vera summa del suo cinema: "Così ridevano (prodotto da Vittorio e Rita Cecchi Gori) è la sintesi ermetica e debordante, di tutto il cinema di Gianni Amelio: è lo sguardo realistico che, constatata la perdita dell'innocenza, sposa l'astrazione della messa in scena per farsi spettacolo romanzesco; è la lucidità storica che attraverso immagini rarefatte della nostra memoria, ci mette di fronte alla nostra mostruosa mutazione; è il dolore per tutto quello che si è perduto e la rabbia per averlo buttato, la consapevolezza triste degli abbracci non corrisposti e la rivendicazione amara della nostra coscienza, il viaggio all'indietro, al termine della notte, e la panoramica sconfortata sull'inglorioso sole di York che oggi ci acceca. È padri e figli, educatori voraci e incolpevoli e allievi devastati e incolpevoli, peccato originale e corsa all'autodistruzione, amore che uccide  e vergogna storica. È La fine del gioco, Il piccolo Archimede, Porte aperte, Panisperna, Lamerica e soprattutto è Colpire al cuore. Le numerose dichiarazioni di Amelio sono contenute nei volumi citati in bibliografia, oltre a quelle più recenti raccolte dalla stessa Martini nel giugno 2006. Ottima la filmografia, con schede tecnico artistiche molto complete. Ottima anche la bibliografia, curata nelle varie sezioni. Manca, purtroppo, come spesso capita nelle pubblicazioni a stampa, una pur minima webgrafia.

 

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