LOLA, di Andrew Legge

Si muove tra la fantascienza e il mockumentary, portando con sé la riflessione etica di base alla riscrittura degli eventi e della Storia. Freestyle.

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Nel 2021 è stato scoperto un deposito di bobine nella cantina di una casa di campagna nel Sussex, in Inghilterra. Il filmato sembra essere una trasmissione registrata nel 1941. Così si apre LOLA, opera prima dell’irlandese Andrew Legge, presentato nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma. In apparenza, stando alla didascalia di apertura che gioca con la tecnica della cornice, un found footage realizzato dalle sorelle Thomasina e Martha Hanbury. Le due hanno creato una macchina, LOLA, capace di sintonizzarsi su frequenze radio e televisive che provengono dal futuro. Nel pieno del secondo conflitto mondiale, decidono di mettere al servizio dell’intelligence britannica la loro invenzione, per contrastare gli attacchi tedeschi. LOLA si muove tra la fantascienza e il mockumentary, portando con sé la riflessione etica di base alla riscrittura degli eventi e della Storia, in nome di un’assoluta fiducia nell’avanzamento tecnologico prestato al bene comune, mosso da un idealismo utopico che porta con sé effetti collaterali e contingenti. Una riscrittura che Andrew Legge opera giocoforza anche in fase di stesura, limitato da un budget ridotto che l’ha costretto ad adattare la sceneggiatura al materiale d’archivio rintracciato, abilmente mescolato, in fase di montaggio, al girato di finzione.

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E al di là della trama, il film dichiara apertamente la propria intrinseca riflessione sulla manipolazione delle immagini e la riscrittura della Storia, con Martha che taglia la pellicola, svelando l’inganno dietro al film nel film. Il found footage, la Storia, diventa per Andrew Legge la base di partenza per costruire un pensiero attorno al nostro presente e al nostro passato, e che altro non è che quel futuro che per Thom e Mars sembra così lontano e affascinante. Una circolarità temporale che confonde, sovrappone, nebulizza i confini, le immagini, la realtà e quindi, di fatto, la sua stessa lettura e comprensione. Ma anche il rischio di una persistenza storica e ideologica a cui non è stato dato modo di fare il suo corso. Ciò su cui forse è necessario focalizzarsi allora, nel mare magnum d’immagini, riprese e narrazioni che si affastellano per tutto il film, è proprio ciò che dall’inquadratura viene taciuto, sommessamente nascosto, evirato. Quel fuoricampo che conserva il superfluo, l’ignorato che non è più possibile trascurare, le voci rimaste inascoltate, capaci forse di dare nuove risposte agli interrogativi, e alle ombre, ritornanti, del contemporaneo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
3.2 (5 voti)
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