POLEMICHE – Fellini, Fellini… (3)

Da un articolo "provocazione" anticommemorativo è nato un dibattito che, da Fellini all'idea di cinema che vogliamo raccontare, si allarga a come "Sentieri selvaggi" si propone di farlo… e tra i redattori la polemica esplode con veemenza. Continua il diario "in tempo reale" del dibattito interno/esterno a Sentieri selvaggi.

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3/11/2003 ore 11.12

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Il problema si pone se il mattino sul treno sento una persona dire: "ieri sera mi sono scaricato "La morte corre sul fiume", fichissimo!".
Mi sento toccato nelle mie passioni, qualcosa che esce da me, dal mio amore e diventa insozzato. D'accordo sulle condanne alla insopportabile processione di critici compiacenti che non fanno che celebrare il già celbrato, ripetere dei versetti già letti, alle immancabili associazioni culturali che celebrano il fatto che fellini sia stato a dormire una notte in un albergo della loro valle e che quindi fanno una retrospettiva, magari in video, invitando sedicenti esperti.
Scagliamoci contro questa museificazione della cultura, provochiamo con opinioni contro (ma quanto contro?) ma stiamo attenti a cogliere nel segno.
L'attaccare Fellini sul piano dell'importanza storica, dell'affetto nei confronti dei personaggi è un gioco minoritario destinato alla sconfitta. E' l'accettazione dei presupposti impliciti dell'esaltazione diffusa e acritica, per ribaltarli in una dialettica che sarà sempre minoritaria. Il grido inchiesta richiama l'attenzione della folla, che poi si gira subito per tornare all'officiante.
Ma è la figura stessa di Fellini ad alimentare questo culto provinciale: Fellini è il genio del popolo, anzi il genio tout court, nella diffusione capillare e nella volgarizzazione di questa nozione estetica romantica. La dolce vita apre una stagione che Vittorio Spinazzola chiama quella del Kolossal d'autore: dal 1960 al 1965 c'è una strana concordanza tra autori conclamati e pubblico cinematografico, che poi si chiude con una divergenza totale. Tutti vanno a vedere La dolce Vita, lasciamo perdere che per molti sia un'esperienza affine alla pornografia. Fellini si erge al di fuori di qualsiasi nicchia, parlano trasversalmente alla popolazione: a coloro che rifletteranno su Steiner e a coloro che un anno dopo andranno a vedere Totò, Peppino e la dolce vita.
La celebrazione diffusa è frutto di questa fruizione storica che avviene a partire dalla Dolce vita: ci può dare fastidio, ma è un dato storico inevitabile che bisognerebbe cercare di mettere un poco di lato per non essere accecati. L'accusa di non portare nessuna innovazione formale, a parte essere discutibile, risente ancora di quel ribaltamento dei presupposti di cui parlavo poco sopra. L'estetica della negatività, intesa come il negare la tradizione e il porsi avanti come generatore del valore estetico, è sorpassata in questa forma da trent'anni almeno. Ha mostrato la corda appunto nel non saper comprendere fenomeni di "godimento visuale" diffuso come quello della Dolce Vita, o de Il Cacciatore di Cimino. Continuando su questo paragone, alla fine possono essere trovate affinità storiche come forma di consumo culturale tra l'Italia in cui si affermano autori con un grosso seguito di pubblico, e il New American Cinema degli anni settanta. Il regista diventa star, fino ad esplodere nelle sue ossessioni di grandezza e nel suo seguito di pubblico, lasciano spazio a culti e revisioni che si estendono nel tempo.
Non so quanto siano "utili" crociate sul valore, se non aprire ad una discussione infervorata come questa, quanto piuttosto vedere come questi spazi di discorso polemico si generano.
E poi a me l'amarezza cinica di Fellini convince.


Emanuele Marchesi


 


 

3/11/2003 –  ore 12.20


 


"Per questo, non chiedeteci di essere lineari, pacifici, coerenti: rispondiamo ad un mondo potentemente ambiguo che cerchiamo, in tutti i modi, di narrare."
Tu mi insegni, caro Demetrio, che le parole contano, e a non essere "coerenti" noi questo mondo "potentemente ambiguo" non lo narriamo, ma vi "aderiamo". Ti conosco abbastanza per sapere che sei al di sopra di ogni sospetto di supponenza, per non dire di Federico, Simone o Massimo, ma le tue parole, che hanno il "sound" di una "linea editoriale", sono per quanto mi riguarda l'ennesima conferma che c'è qualcosa di meravigliosamente idealistico nel progetto di Sentieri Selvaggi e allo stesso tempo di fastidiosamente presuntuoso. Francesco Ruggeri (contro i cui scritti sono critico da tempo, quindi Fellini c'entra poco) temo sia purtroppo "figlio" di questa presunzione, che è quella di essere costi quel che costi connotati e distinti. Non si sa bene da chi e da cosa, poi, perché se esiste una critica "ufficiale" e "ufficiosa" io non credo che sia quella dei mollica che museificano il cinema, ma quella di riviste che a mio parere non hanno più nulla da dire da moltissimo tempo. Sono tra i "soci fondatori" di Sentieri pur sapendo bene che per gusti e percorsi culturali sono poco "integrabile" al gruppo storico, tuttavia ho creduto che quell'idealismo di cuore e non di testa che tutti ci ha unito, almeno all'inizio, potesse essere il valido anticorpo all'ufficialità delle altre riviste di cinema. Adesso, sinceramente, ammetto la mia delusione, che è poi il motivo per il quale mi sono allontanato dalla versione on line di Sentieri, ma troppe volte mi sono trovato a leggere concetti che vanno in senso opposto non solo rispetto alla mia idea di cinema ma anche a quella di mondo. Qualche volta ho timidamente espresso il mio dissenso, ma questa faccenda dell'articolo su Fellini, pubblicato in apertura a mo' di editoriale, temo sia la dimostrazione che c'è, da parte del gruppo redazionale (Federico, Simone, Demetrio…) una precisa volontà a fare di sentieri selvaggi una rivista solo apparentemente "aperta", in realtà chiusa a riccio nei contenuti e contorta (molto contorta) nella forma. Sia ben chiaro, tutto ciò è più che legittimo. Io però mi sento sempre più lontano…
Mauro Gervasini

3/11/2003 – ore 16.06


 


Gentile Dott.Gervasini (Le do del Lei perché non ho mai avuto il piacere di conoscerLa), Le assicuro che è molto facile affacciarsi alla finestra in pantofole e giudicare la vista, riservandosi il piacere di non scendere mai in strada, ma di continuare a guardare, concentrandosi magari su visi ricorrenti, camminate particolari, e chissà cos'altro. Facile tutto ciò, ancora più facile poi il giudicare di tanto in tanto, stando bene attenti poi a non sporcarsele mai le mani. Bene. Lei parla di una chiusura a riccio della rivista, beh, non mi risulta. Sentieri Selvaggi (e Lei me lo insegna) esprime una tendenza, che non è poi quella legata al giudizio su un singolo film, ma una ben più generale, totale, onnicomprensiva. Dall'esperienza che in questi due anni ho maturato nella rivista, posso dire che Federico (e non sta a me comunque prendere le difese di nessuno) non ha nessun tipo di problema nel pubblicare un pezzo che si muova magari in senso contrario rispetto all'unanimità redazionale, o quasi, riscontrata su un film, un autore, uno sguardo. Badi bene però, il pezzo deve essere motivato, preciso, in grado di muoversi agilmente su delle basi che devono comunque esserci. Tutto questo è accaduto con l'interessante pezzo di Paolo Tenca sull'ultimo film di Bertolucci, è stato fatto per Amelie e nondimeno per il film di Bellocchio (che poi ne abbiano parlato tutti bene, è un'altra cosa). Potrei continuare, ma non voglio stancarLa con altri esempi che probabilmente già conosce. Ora, dove sono i Suoi scritti, i Suoi pezzi, le Sue legittime rivendicazioni? Niente, semmai qualche riga affidata al saltuario giro di posta tra redattori, così, tanto per scendere di tanto in tanto tra noi a dirsi disgustato dal tono della rivista, contrariato dagli scritti di qualcuno (non faccio nomi, ci ha già pensato Lei), e così via. Infine parla di presunzione, sbagliando però evidentemente il destinatario della sua "timida" invettiva. Arriviamo a noi (anzi a me). Sentieri selvaggi è un bel campo di gioco, fatto per essere calpestato, affrontato, vissuto. lo lo vivo e lo gioco, certo a modo mio, non lesinando mai impegno e cuore. Nel momento in cui scrivo, divento un bel bersaglio mobile per compagni di squadra e attaccanti della formazione avversaria. Sono visibile insomma, con tutte le mie caratteristiche di gioco (pregi e difetti). Nel caso del pezzo su Fellini (di cui Lei forse giustamente nemmeno parla, imbustandolo insieme a tutti gli altri), ho cercato semplicemente di raccontare qual è il mio cinema, qual è l'immagine che vorrei vivere ora e sempre, di fatto poi parlando di Fellini, monumento davvero intoccabile a questo punto, vista l'alzata di scudi dei tanti redattori (a latere, leggo di un'estetica delle negatività che semmai appartiene a chi vuole trovarla a tutti i costi, anche laddove non ce n'è traccia). Qual è allora il Suo cinema, qual è la Sua idea di scrittura e di forma (a proposito, spero di non essere stato, almeno in questa sede, eccessivamente criptico)?. Il Suo essere contro certi scritti avrà mai la capacità di abbandonare lo scatto umorale per tradursi in vera dialettica, affrontata da pari a pari? Oppure già si sta già preparando a seguire le orme di quel lettore che si è fatto togliere dalla mailing list? Il mio sarà pure un "gioco minoritario", non lo metto in dubbio, ma è un bel gioco minoritario, senza dubbi, un gioco forse per il quale vale ancora la pena giocare.


In campo però, non sulla panchina.


 


Francesco Ruggeri


 


 

3/11/2003 – ore 18.28


Avrei preferito non personalizzare la polemica. Io non ho una "ricetta di rivista" da contrapporre a nulla e mi piacerebbe che le mie critiche, per quel che valgono, fossero "respinte al mittente" indipendentemente dalla mia posizione nei confronti del giornale, della quale devo al massimo dar conto a Federico e a Simone. Se sono io l'unico a rimpiangere un'altra idea di rivista, mi dispiace e me ne faccio una ragione; ma il discorso voleva essere un po' più profondo rispetto alla semplice constatazione che sentieri selvaggi non si fa problemi a pubblicare un articolo "che si muove in senso contrario rispetto all'unanimità redazionale". Ovviamente il problema non è questo. Credo che adesso, in Italia, ci sia bisogno di forme d'espressione "critiche" più divulgative e coinvolgenti, che in qualche modo "seducano" il lettore e non lo respingano, senza per questo rinunciare alla provocazione o all'asprezza dei contenuti. Ecco, da lettore direi abbastanza assiduo di Sentieri selvaggi io a volte mi sento respinto. Ho fatto male a dirlo? Ho ferito qualcuno? Non ho diritto di replica perché in nome di chissà che "non mi sono abbastanza sporcato le mani"?


 


Mauro Gervasini


 


 

 


 


 


Amarcord Federico Fellini


L'articolo di Francesco Ruggeri


 


POLEMICHE – Fellini, Fellini… (1)
la prima parte degli interventi



POLEMICHE – Fellini, Fellini… (2)
la seconda parte degli interventi

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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