PROFILI – Il re è nudo: addio King Leer

Ossessivo, eccessivo, ruspante, solitario, sensibile, patriota, moltiplicatore, fuorviante, morale, beffardo, rigoroso: Russ Meyer. Come Larry Flint ha combattuto, come Herschell Gordon Lewis ha giocato, come Jean-Luc Godard ha sfrondato il suo tempo. Dieci, cento, mille Mister Teas.

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Come Larry Flint ha combattuto, come Herschell Gordon Lewis ha giocato, come Jean-Luc Godard ha sfrondato il suo tempo. A 82 anni per le complicazioni di una polmonite ci ha lasciati Russ Meyer, l'imperatore del cinema sexploitation, il "re dello sguardo malizioso" (King Leer), l'ultracitato, trasversale demiurgo postbellico dell'in/visibile immaginario erotico (e non solo). E' stata Janice Cowart, portavoce della RM Films International Inc., la compagnia produttrice creata da lui stesso, ad annunciarne la scomparsa, avvenuta nella sua personale Xanadu, una villetta verde smeraldo in quel di Hollywood Hills. E' la morte di un gigante bambino, un Kane isolato che sussurrando il mistero di Pussy-Rosebud lascia cadere a terra la tetta di vetro più enorme, più monumentale. Ossessivo, eccessivo, ruspante, solitario, sensibile, patriota, moltiplicatore, fuorviante, morale, beffardo, rigoroso. Alieno al compromesso, accettava naturalmente l'avventura del low-cost per poter wellesianamente operare su fotografia, regia, sceneggiatura, produzione e distribuzione. Per questo ha ottenuto clamorosi successi in sala e miliardari profitti nell'home-video, per questo ha sfidato la censura (Vixen ebbe 23 processi), per questo ha preferito l'inattività forzata per lunghi anni. Monomaniaco fino all'ultimo (si fingeva cameriere di sé stesso al telefono), fino alla colossale e interminata autobiografia in video, le oltre 17 ore di The Breast of Russ Meyer (breast sta per seno, ovviamente), che segue l'inaccessibile triplice libro di memorie A Clean Breast: The Life and Loves of Russ Meyer, con 2.500 fotografie virate in seppia, in vendita per posta a 350 dollari (John Landis, che gli regalò un cameo in Donne amazzoni sulla luna, ne avrebbe acquistato due copie). Find them, film them, fuck them, forget them. Scopritore, amante, marito dei corpi da lui attraversati, praticati e gonfiati. Modelle, segretarie, attrici, spogliarelliste.

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E' sull'asse sesso-violenza che l'americano Meyer viene sempre inquadrato ed anche la biografia ne forza assai il dirottamento. Nato a Oakland il 21 marzo 1922, figlio di un poliziotto (figura su cui spesso si accanì divertito) presto dissoltosi nel nulla e di una procace infermiera risposatasi quattro volte (da qui forse l'elaborazione di una divinità femminea incarnata in s/oggetti predatori insaziabili) che impegnò l'anello di fidanzamento per comprargli una Univex 8mm del valore di 9,95 dollari con la quale a 15 anni vinse il suo primo premio per cineasti dilettanti. A 20 anni entrò nell'esercito come foto-operatore al plotone 166 del Signal Photographic Corp ed il suo sguardo potè posarsi per anni sul fronte europeo. Sono suoi i filmini documentari che appaiono nel pluri-Oscar Patton, generale d'acciaio di Franklin J. Schaffner del 1970. In guerra accrebbe il suo talento ed elaborò, testimoniando le atrocità dei lager, una particolare idea di violenza così folle da essere fascinosa ma talmente vera da passare sotto traccia nel quotidiano e sfuggire alla presa in un sorriso ebete ed ambiguo. E' qui che cominciò a smontare, modellare, sezionare e disfare i suoi corpi affidandoli ad un'accelerazione di sensazione, significato e contesto per poi farsene fruitore innamorato. Dopo la guerra Meyer diventò fotografo professionista lavorando sui set di Bulli e pupe e Il gigante o per riviste glamour come Beauty and the camera. Nel 1955 firmò il primo centerfold di Playboy e quella modella, Eve, diventò subito dopo sua moglie. The French Peep Show (1950) è il suo primo cortometraggio-burlesque avente per protagonista la famosa spogliarellista Tempest Storm dell'El Rey Theater. Subito rinnegato, Meyer scorse nell'insoddisfazione del risultato un anelito libertario che eccedesse il genere ed il pubblico del nudie, innocuo divertissement che saziava la pruderie del benpensante senza creare scandalo.

Pur ricercando un tono scanzonato voleva innestare dosi di violenza, surrealtà e morbosità. Invendibile. Con The immoral Mr. Teas (1959), primo lungometraggio, in origine documentario "naturalistico" da proiettare prima di uno strip-tease, c'è lo sfondamento nello scandalo e quindi la fuoriuscita dai circuiti specializzati. 24.000 : 1.500.000 è il rapporto in dollari tra costi e ricavi. Enorme fu anche la serie di processi finché non si stabilì che la semplice esposizione del corpo umano non poteva considerarsi indecente. E' la stessa battaglia di civiltà di cui si fece carico Larry Flint, un bagaglio di libertarismo vergognosamente deriso dai mass-media al momento della candidatura anti-Schwarzy alle recenti elezioni californiane. Dieci, cento, mille Mister Teas. Quell'omino newyorkese in salopette rosa che consegna apparecchiature dentistiche in bicicletta e soprattutto riesce a vedere nude le donne vestite è già un occhio/corpo powelliano che fuoriesce dallo schermo non solo come controcampo dell'immostrabile (in fondo il porno non è mai stato abitato dal Nostro) ma per colonizzare le coscienze colpevoli del proprio voyeurismo consapevole. Non bastano nel suo cinema gli innesti di cartoon anarchico. Il fumetto, Lil Abner. Le perverse parate di nudità ballonzolanti. Né le angolazioni-attrazioni ejzenstejniane post-videoclip o le feroci descrizioni di una provincia retrograda. Né i doppi sensi linguistici e figurativi abbinati ad analogie falliche di montaggio.

Un mondo così crudele da apparire divertito sfugge alla sintesi del giudizio, alla rincorsa verso l'ironia, alla metabolizzazione parossistica. In realtà siamo noi a farci vittime, complici e violentatori insieme dei suoi corpi, convitati alla decomposizione ritardata e/o velocizzata della struttura che vira in un controtipo negativo, fantasma di una moralità che dovrebbe appartenerci ma di cui disorientati avvertiamo la diabolica insensatezza. Sperduti in quei topoi primordiali dove l'assurda essenzialità del paesaggio, valle o deserto che sia, rimanda e al gigantismo di body sections e ad un'eventuale versione docu/gothic-pop del mito della frontiera. E all'insistenza sulla selvaggia provincia americana da Lorna (1964) in poi, teatro di esplosioni reiterate di pulsioni e violenze tristi, mai liberatorie sia virassero sul sadomaso sia che si interfacciassero a controcanti off. Mudhoney, Motorpsycho, Faster Pussycat! Kill! Kill! ovvero Corman, De Santis, Thelma & Louise, Killing Uma. Il post-Vietnam allucinato, la vitalità pre-femminista, la ruralità come trincea del melò. Sempre più sintetico-felliniano nel colore cui approda con Mondo Topless (1966). Il delirio dello script, la freneticità dei cuts, l'onirismo mammellare rendono indigesti i successivi gioielli. Vixen, Supervixens, Up!, Common Law Cabin, Beneath the Valley of the Ultravixens fino all'ultimo Pandora Peaks, creatura clandestina del 2001. In due occasioni la sua strada incrociò quella di una major, ovvero.la Fox. L'operazione anticensura Seven minutes e soprattutto la demenziale, barocca, parodistica incursione nell'immaginario hollywoodiano, Beyond the Valley of the Dolls. "Tra Faulkner e i fotoromanzi", horror e musical, per 15 milioni di dollari di incassi nel 1970. Poteva bastare. In tutti i sensi.


 

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