RIVISTE DI CINEMA – "Revolutionary Road: la vita in una stanza"

Revolutionary Road

Roger Deakins torna sulle pagine di Sentieri Selvaggi, dopo L'assassimio di Jesse James, in coppia con Sam Mendes, per parlare di un matrimonio da distruggere, pezzo dopo pezzo, mentre la macchina da presa resta a guardare.  da American Cinematographer

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I grandi romanzi pongono singolari sfide a quanti cercano di adattarli per il grande schermo e alcuni direbbero che Revolutionary Road, di Richard Yates, pubblicato nel 1961, ne pone più d’una. […] Il punto di osservazione del romanzo è stato infatti motivo di preoccupazione sin dall’inizio per Roger Deakins, ASC, BSC, che ha lavorato nuovamente in coppia con Sam Mendes, per aiutarlo a trasferire la storia sullo schermo. “Quando ho letto il libro, ero preoccupato che gli spettatori potessero non essere attratti dai personaggi, per via di una certa distanza dalla quale vengono osservati,” dice Deakins. “È una problematica interessante, davvero, ed io e Sam ne abbiamo discusso a lungo.”

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Il segreto, dice Mendes, sta nello stare vicino ai protagonisti, Frank e April Wheeler (Leonardo Di Caprio e Kate Winslet), raccontando la loro storia nel modo più semplice possibile. “Il romanzo parla contemporaneamente di un matrimonio, di un’epoca e di una comunità ed io volevo diventasse principalmente la storia di un matrimonio,” dice Mendes. […] “Avevo diretto una sceneggiatura originale e adattamento di una graphic novel e un diario, ma non avevo mai fatto un film adattando un grande romanzo, ed ero diffidente a riguardo. Dopo tutto, un romanzo può essere valido per delle ragioni del tutto opposte a quelle per le quali può esserlo un film. Alla fine però, sono stato attirato verso il centro della storia – un uomo e una donna in una stanza. Sapevo che il cuore del film sarebbe stato racchiuso nei primi piani e prima d’ora non avevo mai fatto un film del genere.”

[…] Mendes fa notare che Deakins “ è un maestro nel confezionare un vestito in base alla stoffa a disposizione. […] L’abilità di Roger nel trasformarsi, nell’adattare il suo stile alle necessità dello script, è straordinaria. Credo esistano due tipi di professionisti del cinema; quelli che hanno un unico stile da imporre, qualunque sia la materia con cui hanno a che fare, e quelli che modificano il loro stile in base alle necessità della storia. Io faccio parte della seconda categoria, così come Roger.”

Si_va_a_ParigiIn Revolutionary Road le necessità della storia, e il desiderio di Mendes di raccontarla servendosi di uno stile “disadorno”, hanno portato all’approccio visivo che Deakins chiama “molto diretto” […] I due filmaker erano uniti dal desiderio di comprendere nella loro idea di semplicità visiva anche la rappresentazione dell’epoca. “Uno dei grandi pericoli che si celano nel ricostruire un’epoca nei film è che per molti di noi, l’idea che abbiamo di come qualcosa doveva sembrare negli anni ‘30 o ‘50 è indotta, basata su quello che abbiamo visto in altri film, appunto“, osserva Mendes. […] ”L’epoca fa ovviamente da sfondo, ma sentivo che i dettagli del periodo in oggetto dovessero essere quasi gettati dentro, come fossero osservati da una certa distanza. […] Volevo che quella fosse semplicemente l’epoca in cui i personaggi vivono.” Su questo punto Deakins era d’accordo. “Odio l’idea che ci si debba servire di una fotografia multicolore perché si tratta degli anni ’50, oppure che si debbano rendere le immagini diafane o color seppia, nel caso si tratti di un’epoca precedente – non ho mai capito che senso avesse lavorare in questo modo,” dice il direttore della fotografia […]

Ansioso di rendere la storia sullo schermo il più realistica possibile, Mendes ha deciso di girare in presa diretta e, con poche eccezioni, in ordine cronologico. […] “Volevo ricreare l’atmosfera e la sensazione claustrofobica di una vera casa ed ero deciso, per la prima volta, a sacrificare di tanto in tanto “l’aspetto” esteriore di una scena, in favore di una maggiore attenzione verso quello psicologico, oltre che allo stato d’animo. […] Riguardo al girare in ordine cronologico, aggiunge: “Il mio dovere era quello di aiutare Leonardo e Kate a mettere su un matrimonio credibile e poi, col progredire della storia, guardarli gradualmente, pezzo dopo pezzo, distruggersi l’un l’altro. Sembrava perciò, per ovvie ragioni, una sacrilegio, girare la fine della storia all’inizio.” I litigi di Frank ed April diventano sempre più intensi, man mano che la storia va avanti; Deakins fa notare che girare in ordine cronologico ha reso più semplice “un’evoluzione sottile” del lavoro della macchina da presa. […] “L’idea originale, mia e di Sam, era quella di girare l’intero film in modo statico, per conferirgli la stessa idea che c’è nel libro, ma una volta cominciate le riprese, siamo Sam_Mendes_e_Kate_Winsletconvenuti nel dire che un tale approccio non avrebbe fatto altro che devitalizzare la materia filmica”, dice Deakins. “Perciò (lo stile) all’inizio è statico, per poi gradatamente diventare più frammentato. Film come questi hanno un loro naturale sviluppo; si può tentare di combatterlo, ma sarebbe la cosa più sbagliata da fare.” “Abbiamo tentato di girare senza stacchi il più possibile, con la macchina da presa che passa da un personaggio all’altro, […] servendomi in questi casi del braccio remotato”, continua. “Alla fine del film, quando le cose tra Frank e April si fanno più intense, la macchina da presa scelta è nella maggior parte dei casi quella a mano.” Mendes aggiunge: “Volevo che le interpretazioni di Leo e Kate nell’ultima mezz’ora fossero il più possibile crude e quando siamo arrivati a quel punto, ho detto a Roger che non volevo prendere decisioni in merito alle inquadrature; volevo usare la camera a mano e volevo che gli attori fossero esplosivi e imprevedibili. Roger è un operatore molto capace e credo ne sia stato entusiasta […] Il passaggio alla camera a mano ha un impatto emotivo piuttosto intenso.”

Sala_da_pranzoNonostante girare in ordine cronologico abbia avuto i suoi benefici, nella casa dei Wheeler “è’ stato una specie di incubo, dal punto di vista logistico”, dice Deakins. ”Giravamo una scena nel soggiorno al piano terra, poi raggiungevamo il piano di sopra per girare un’altra scena, poi scendevamo di nuovo per la scena successiva. […] “Non ho avuto la sensazione che girare in casa fosse limitante in termini di quello che si poteva fare con la macchina da presa, ma è stato a volte frustrante in relazione all’illuminazione degli spazi,” continua Deakins. […] “Ci vuole una quantità enorme di luce per mantenere all’interno l’effetto naturale della luce del giorno, e la casa era appoggiata sul pendio di una collina, per cui illuminare le stanze al piano di sopra e la cucina, è stato problematico.” […] Dato che ogni inquadratura nella casa dipendeva dal tipo di scena e dalla stanza interessata, pre-illuminare gli ambienti è stata una soluzione mai presa in considerazione. […] “Non abbiamo usato trucchi o particolari stratagemmi – non si è trattato di niente di inusuale, semplicemente il materiale è stato utilizzato in modo appropriato[…]”, fa notare il caposquadra. […]

Un’altra location […] aveva bisogno di un tipo d’illuminazione che ricordasse la luce del giorno, l’ufficio di Frank, un grande open space, suddiviso in una serie di cubiculi. Il posto era il quinto piano di un palazzo municipale nella Lower Manhattan. “All’inizio ho pensato che avremmo potuto usare delle gru in modo da far filtrare la luce attraverso le finestre, ma la città si è rifiutata di chiudere al traffico una qualunque parte della strada sottostante”, ricorda Deakins. “Il reparto audio ha dovuto incollare a tutte le finestre dei fogli di plexligas spessi circa 2 centimetri per insonorizzare l’ambiente […]. Alla fine avevamo una piattaforma appoggiata alle finestre, alta quanto l’intero palazzo.”[…]

Una location che ha posto un diverso tipo di problematiche d’illuminazione è stata una porzione di autostrada Connecticutnel Connecticut, servita come ambientazione per una delle prime scene del film, quella di un litigio tra Frank e April […] La scena ha luogo di notte e, dato che le autostrade non erano ben illuminate nel 1955, le risorse potenziali erano limitate.[…] “In alcune inquadrature si riesce a scorgere la strada fino a 2 chilometri di distanza e non c’era modo di illuminarla, perciò abbiamo lasciato che fossero i fari delle macchine in lontananza a fornire luce”, dice Deakins. “Ovviamente, essendo macchine dell’epoca, abbiamo dovuto sostituire i fari con lampadine più potenti, […] servirci di batterie e alternatori. […] Quello che dovevamo ricreare all’interno dell’auto era l’effetto dei fari di Frank che illuminavano i loro volti, riflessi sull’asfalto, e sapevo di poterlo fare all'interno di un capannone,” dice il direttore della fotografia. […] “Abbiamo girato molto velocemente, in un paio di ciak. Avevamo ipotizzato due giorni di lavoro per la stessa scena, quando pensavamo di realizzarla all’aperto; in quel periodo dell’anno, il buio non dura più di cinque ore.” […]

Un’altra scena che Deakins e Mendes hanno discusso a lungo prima di girare, è quella che ritrae la liaison di April con un vicino, Shep Campbell (David Harbour), in una macchina fuori dal Vito’s Log Cabin, un famoso bar locale. Deakins ricorda: “Discutevamo su come realizzare quella scena. […] Quando siamo giunti sul posto, Sam ha cominciato a lavorare sulla scena con Kate e David e io li stavo osservando dal sedile posteriore della macchina. Quell’angolo offriva una qualità d’osservazione particolare, che suggeriva l’idea che qualcosa stesse semplicemente accadendo e che rendeva la cosa molto triste. L’ho fatto notare a Sam e abbiamo poi girato la scena dal sedile posteriore, senza tagli. […]

Meravigliandosi dell’abilità di Deakins nell’ ”elevare le immagini senza perdere il senso della realtà” […], Mendes sottolinea che una tale “sottigliezza” è solo una delle caratteristiche del lavoro del direttore della fotografia, e che lo rende unico. Oltre alle capacità considerevoli di Deakins di sfruttare gli strumenti del suo lavoro, c’è qualcosa che è forse meno ovvio, ma dice il regista, notevole allo stesso modo: la mancanza di egocentrismo. “Sarebbe ovvio, affermarre che Roger è un grande direttore della fotografia, ma il suo lavoro non fa mai pubblicità di se stesso,” dice Mendes. “Non si metterebbe mai tra la fotografia e lo spettatore prer dire: “Guarda come è illuminata questa. Guarda come è girata quest’altra.” Il film è perciò cumulativo; non si può eliminare neanche una singola inquadratura, perché non avrebbe senso, fuori dal contesto. È l’intero film che conta.”.

"Close focus", di Rachael K. Bosley – da American Cinematographer, gennaio 2009

 http://www.ascmag.com/magazine_dynamic/January2009/RevolutionaryRoad/page1.php

 

Traduzione a cura di Giovanna Canta

 American_Cinematographer

American Cinematographer è la rivista mensile dell’American Society of Cinematographer, la più vecchia, insieme a Variety, nell’industria cinematografica. Si focalizza sull’aspetto artistico e artigianale delle opere filmiche, svelando i retroscena di produzioni di ogni genere e dimensione. La rivista, che contiene interviste approfondite con cineoperatori, registi e alcuni dei loro diretti collaboratori in diverse fasi realizzative, contiene informazioni sulle ultime attrezzature e tecniche che influenzano il cinema.

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