#RomaFF14 – Downton Abbey, di Michael Engler

Downton Abbey, dalla tv al cinema. Un ritrovo nostalgico, ancora una volta un siparietto spassoso e ben costruito dove la storia riprende da dov’era stata lasciata nella sesta e ultima stagione.

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Downton Abbey è un ritrovo nostalgico per appassionati della serie televisiva che vogliono rivedere ancora una volta un siparietto spassoso e ben costruito. Ritrovare Downton al cinema dopo quattro anni, sei stagioni e tre Emmy Award non è stato poi così insolito: già dalle note musicali e dalle prime ironie si ha una sensazione di familiarità, come se si fosse appena tornati a casa.

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Downton Abbey non è che la continuazione sul grande schermo dell’omonima serie. La storia riprende da dov’era stata lasciata nella sesta e ultima stagione: i personaggi sono esattamente nello stesso punto e, nonostante gli anni passati sia nel mondo reale che in quello fittizio, tutto sembra che sia rimasto congelato, in attesa di un nuovo ordine.

La quotidianità dei protagonisti di Downton Abbey viene totalmente travolta dall‘arrivo di una lettera da Buckingham Palace, che li avverte del fatto che il re Giorgio V e la regina Mary d’Inghilterra (i nonni dell’attuale regina Elisabetta) si fermeranno nella loro tenuta per una notte. La famiglia Crawley è agitata, la servitù è estasiata e il signor Carson (Jim Carter) è sempre pronto a soccorrere gli eredi di Downton riprendendo il comando dei domestici per preparare la tenuta al grande evento. Sfortunatamente, i sogni del personale di servizio, fatti di argenteria da lucidare, tavole da apparecchiare e pasti da preparare, vengono infranti quando si viene a sapere che i loro servigi non saranno necessari: i reali porteranno con loro da Londra la loro corte personale. Ma i domestici di casa Crawley non hanno mai accettato di buon grado le prese di potere da parte di sconosciuti, e così, in totale anarchia, come hanno sempre fatto in questi casi, cercheranno di avere una rivalsa sui malcapitati servitori reali.

Downton è una tenuta nello Yorkshire che ogni mattina prende vita in un balletto di servitori, che sistemano silenziosamente le stanze e preparano tutto prima ancora che loro i servigi vengano richiesti. La minuzia con cui ogni dettaglio viene curato è mostrata attraverso magistrali piani sequenza, caratteristici della serie e firma di Downton Abbey sia nella televisione che nel cinema. Il film, dal punto di vista visivo, ha persino una resa migliore: le ambientazioni sono più maestose, la tenuta, eterna protagonista di quasi ogni inquadratura, è sempre più imponente, e ogni oggetto di scena viene mostrato con egocentrismo e perfettamente posizionato. La regia di Michael Engler è dinamica, il che la rende più conforme al nuovo formato, facendola diventare quasi una danza movimentata che si sposta dalla tavolata della famiglia a quella dei domestici con naturale semplicità.

A dispetto delle apparenze la storia raccontata nel film, seppur frivola e pregna di superficialità, tocca anche altri temi storici rilevanti e non indifferenti: dall’insurrezione irlandese al pregiudizio verso gli omosessuali, fino al rispetto e l’affetto che, nonostante tutto, sono più importanti di ogni classe sociale.

Julian Fellowes, Premio Oscar nel 2002 per la sceneggiatura di Gosford Park di Robert Altman, ideatore della storia, ha raccontato per 5 anni di morti tragiche, faide tra consanguinei, relazioni passionali e di drammi futili. Nel film ha preferito soffermarsi di più su quest’ultimi, pur non dimenticando il sarcasmo prettamente British, mostrando ancora una volta un lungo finale in cui i personaggi risolvono le loro questioni personali che erano nuovamente in sospeso, un po’ come assistere al continuo saluto già vissuto nell’ultima stagione in una sorta di lungo lieto fine.

Il pubblico, già affezionato alla serie, abbraccerà questo film come un episodio di due ore che ha semplicemente portato al cinema quelle che sono le caratteristiche più importanti del prodotto televisivo. O che potrebbe anche essere visto come un nuovo inizio che comunque non aggiunge o toglie nulla alla storia originale. Il che è in un certo senso una delle caratteristiche principali della serie: raccontare frivolezze che non necessitano di giustificazioni.

Il film riprende quel patto che la famiglia Crawley ha stipulato con il proprio personale di servizio, anche se non verbalmente: quello di rispettare sempre e in qualunque circostanza il lavoro o il ruolo dell’altra persona, a prescindere dal ceto, dalla condizione e dall’abilità di ognuno di loro. Nessuna umiliazione, nessun voler mettere i bastoni tra le ruote all’altro, nessun cliché sul rapporto padrone-servitore dove il primo deve sempre danneggiare il secondo e prevalere su di lui mentre questi dev’essere stanco e lamentarsi del primo: Downton è un luogo frivolo ma sicuro, ostentatore ma magico, freddo ma benevolo.

“Voi tenete un faro acceso. Downton è il cuore della comunità.”
C’è sempre un posto a Downton per chiunque lo chieda. Quella considerabile tenuta da dimora ad innumerevoli persone che, orgogliose del proprio lavoro e del proprio ruolo, non sono solo semplici domestici ma bensì il motore pulsante di quella proprietà, che senza di loro non potrebbe avere vita.

 

Titolo originale: id.
Regia: Michael Engler
Interpreti: Hugh Bonneville, Matthew Goode, Maggie Smith, Imelda Staunton, Elizabeth McGovern
Distribuzione: Universal
Durata: 122′
Origine: Gran Bretagna, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.33 (3 voti)
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