#RomaFF14 – Rewind, di Sasha Joseph Neulinger

Nell’atipico e molteplice ruolo di regista, intervistatore e vittima, Neulinger racconta con incredibile coraggio la sua infanzia e i terribili eventi che hanno sconvolto il suo nucleo famigliare

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Presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di RomaRewind è un documentario praticamente autobiografico, in cui il suo autore, Sasha Joseph Neulinger, rilegge la propria infanzia attraverso ricordi personali, interviste ai membri della sua famiglia e soprattutto immagini di repertorio. Queste derivano prevalentemente dalla passione di suo padre che, da quando Sasha ne ha memoria, ha sempre filmato tutto, continuamente, dalle feste di compleanno, alle partite di hockey, alle vacanze. Riprese che all’inizio sembrano essere la testimonianza di un idillio famigliare, la storia di un bimbo prodigio, ma che vengono presto completamente rovesciate dall’improvviso cambiamento del piccolo Sasha, apparentemente inspiegabile se non nel presente, in cui il Sasha adulto comincia a parlare degli abusi sessuali di cui era vittima in quel periodo. E quelle stesse immagini, prima scanzonate e divertenti, si fanno così inquietanti e terribili, scoperchiando un segreto che, una volta svelato, porterà a una tempesta mediatica, ad una battaglia giudiziaria e soprattutto a una resa dei conti generazionale.

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Quello che subito impressiona di Rewind è l’impegno profuso dal suo autore nel costruire un’avvincente narrazione, proprio perché non si limita a una “semplice” ricostruzione degli eventi, che vista la loro complessità sarebbe probabilmente bastata. Aspetto che fa ancora più effetto pensando alla sfida che Neulinger deve aver ingaggiato con se stesso durante tutta la lavorazione. Come se avesse fatto tesoro delle tante ore passate davanti alla telecamera del padre da bambino, il registra arriva quindi a mostrare un sapiente uso del mezzo cinematografico, capace di riflettersi ora su di un racconto che svela, in crescendo, i diversi elementi e dettagli della vicenda, via via più sconvolgenti; ora su di un montaggio che sovrappone le orribili verità rilasciate nelle interviste alle riprese del passato, che come detto assumono nel corso della visione contorni sempre più sinistri.

Un documentario, allora, tutt’altro che facile in realtà, a partire dalla sua visione, come ci si può naturalmente aspettare da una storia di abusi ripetuti e soprattutto famigliari, perché in grado di minacciare, anche solo per un momento, la sicurezza del nostro contesto privato. Rewind è poi ancora più forte e particolare perché regista, narratore e vittima combaciano tutti nella stessa persona, rompendo in maniera totale i ruoli canonici del genere di riferimento. Se in altri casi si può notare infatti, per forza di cose, una delicata attenzione da parte dell’autore a ciò che sta raccontando, a non urtare più del dovuto la sensibilità delle vittime intervistate, qui non si riscontra alcuna paura di parlare chiaramente, di scendere nei dettagli, perché tutti i partecipanti, sia davanti che dietro la macchina da presa, sono coinvolti in prima persona. Qui non c’è una figura esterna, un “estraneo”, che interroga i genitori e la sorella di Neulinger, ma lui stesso, con tutto ciò che può comportare emotivamente (specie, come si vedrà, con suo padre, il cui ruolo nella vicenda lo rende forse il confronto più complesso e allo stesso tempo tremendo di tutti); ad essere chiamati in causa non sono tecnici o studiosi dell’argomento, ma lo psicologo che ha seguito il regista da quand’era piccolo, il detective che si è occupato del caso fin dall’inizio.

Da ciò si evince che in Rewind non c’è paura, perché Sasha l’ha già affrontata a suo tempo, come racconta, quando lui per primo, ancora in tenera età, ha trovato il coraggio di confessare quello che stava accadendo, di denunciare i colpevoli e rompere definitivamente gli equilibri famigliari. È stata quella la parte più complicata, mentre Rewind sembra essere “solo” l’ultima fase del percorso personale suo e dei propri cari, il loro modo di farci i conti una volta per tutte, loro che ne sono stati sconvolti, distrutti, ma che dopo anni sono riusciti a rimanere incredibilmente integri. Cercando contemporaneamente di aiutare ed ispirare chi invece non è ancora in grado di combattere come loro, la pellicola ha forse il suo merito maggiore nel mostrare la commovente forza mista a consapevolezza di queste vittime che ce l’hanno fatta, ad affrontare il “mostro”, a conviverci, infine a sconfiggerlo.

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