Soleils Atikamekw, di Chloé Lariche

Un atto d’amore verso la comunità del popolo indigeno del Quebec, un racconto quasi trasparente sul canovaccio dei sentimenti del lutto mostrato efficacemente dalla cineasta canadese. #TFF41 Concorso.

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Gli Atikamekw sono un popolo indigeno del Quebec oggi ridotto a poche migliaia di persone. Chloé Lariche, radicata in quella regione del Canada, decide di raccontare un terribile episodio, accaduto nel 1977, nel quale cinque Atikamekw hanno trovato la morte per mano violenta, ma in circostanze rimaste sconosciute e per cui non c’è stata mai giustizia e neppure indagini di polizia per ricercare i colpevoli. Ma con Soleil Atikamekw, nella Sezione del Concorso Lungometraggi, la regista canadese non vuole ripercorrere le atmosfere proprie della ricostruzione cronachistica dei fatti, né impiantare teorie alla ricerca dei colpevoli. Soleil Atikamekw è piuttosto un vero e proprio atto d’amore nei confronti di quel popolo e di quelle tradizioni. Lo sviluppo del racconto, infatti, si fonda più sulla eterea consistenza delle emozioni, del terribile lutto da elaborare che sul racconto del tragico fatto. È su questo quasi vuoto del racconto che il film sa offrire la forza evocativa del dramma che attraverso quelle emozioni sembra amplificarsi per diventare non solo tragedia della comunità delle famiglie colpite direttamente dai fatti, ma di una intera popolazione, diventando silenzioso, ma potente atto d’accusa che un intero popolo rivolge alla civiltà bianca dentro la quale avrebbe dovuto essere ricercata quella verità sepolta sotto le acque del lago dove fu fatto affondare il furgone carico dei corpi delle cinque vittime del tragico fatto di sangue.

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Soleil Atikamekw resta nel ricordo come un film silenzioso e teso nel suo sviluppo in crescendo e in quel lavoro di indagine sulle emozioni, sui sogni e sui ricordi dei parenti delle vittime, un’elaborazione del lutto che da personale sa diventare e deve diventare collettiva per potere essere pienamente vissuta dall’intera collettività come pezzo essenziale di un percorso di pacificazione con il passato. Lariche è sensibile e fa delle sue immagini e di una colonna sonora evocativa un canovaccio che sembra quasi trasparente nel raccontare la varia natura dei sentimenti che attraversano i protagonisti del racconto. Il suo film così poco materico, quanto piuttosto fatto di quella materia che diventa impalpabile come lo sono i ricordi e soprattutto i ricordi delle emozioni, è capace di restituire il dolore trattenuto del solitario vedovo che medita silenziosamente il suicidio suo e del cavallo che ama, come quello urlato della madre che non si rassegna fino alla morte di fronte la scomparsa del figlio fulcro della sua famiglia.
In parallelo scopriamo ancora quanto, invece, la collettività sociale del civilizzato uomo bianco sia stata colpevole, dunque anche in questi tempi recenti, verso quei popoli di antico radicamento in quei luoghi. Il rifiuto caparbio e incomprensibile di aprire un’indagine di polizia sul terribile episodio, nonostante le evidenze sui corpi delle vittime di tagli e ferite che dovevano portare la commissione a procedere per omicidio volontario, costituisce, sotto il profilo della cronaca che diventa storia, la colpa di cui si deve occupare la stessa storia, ma diventa un peccato ancora più grave quello di avere deciso di aprire le indagini su quei fatti tragici solo nel 2016, quando ormai ogni traccia e ogni testimonianza che avrebbe potuto condurre alla scoperta della verità che solo l’ipocrisia complice poteva definita sconosciuta, diventa una colpa ancora più grave e non emendabile.
Per queste ragioni il generoso film di Chloé Lariche diventa un atto d’amore verso quella comunità e un doveroso ricordo offerto a quelle vittime e al lutto solitario delle loro famiglie.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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