SPECIALE "NEMICO PUBBLICO" – Il funambolo e la luna

Marion Cotillard è Billie in Nemico pubblico

Il funambolo di Michael Mann si muove al bagliore del pallido e delicato incarnato di una donnaluna. Tanto fissa e immobile nell’oscurità quanto luminosa e attraente. Una luna di sangue, rossa e passionale. Occhio del cielo, dal cielo. Nel cinema di Mann, fin da Strade violente, c’è sempre una donna che fissa un corpo in trasparenza. Un corpo trasparente. Che appare transitando…

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Marion Cotillard è Billie

[…]
Il Funambolo
Splendeva tutto camminando sulla sua fune, sotto la luna,
con una superba destrezza che dissimulava il rischio e la
fatica, e perfino il travaglio dell’arte.
E quei suoi movimenti, quasi oscillasse su due leggerissime ali,
e quel timore in noi: “cade, non cade”, “cade, non cade”,
diventava un canto immenso, invulnerabile, profondo
che colmava di fiducia la notte intera, e il tempo tutto
fino al futuro più remoto,
che colmava di gioia perfino il sonno di quanti già dormivano
sotto le verande di legno, sui balconi, sulle terrazze
o distesi sull’erba.*
 
La visione dell’ultimo film di Michael Mann è tanto affascinante e struggente quanto ardua, scheggiata e tagliente come un costone di roccia che sporge improvviso da una superficie levigata; così come la figura di John Dillinger è tanto centrata e affrontata in pieno quanto decentrata, fantasmatica e immaginata. Pieni e vuoti si succedono, si accavallano, si incrociano in profondità di campo o nel taglio obliquo delle inquadrature come tutto ciò che si possa (anche solo immaginare di) vedere o percepire, stando sospesi tra la terra e il cielo: tetti di case, cime di alberi, incroci di strade… L’immagine è terragna, polputa, nutriente, ma anche aerea, leggera, disseccata. È essa stessa a essere tesa come una corda sulla quale si può solo essere in bilico. Lo sguardo che fissa un punto e cerca di seguirlo o meglio di inseguirlo. Frontale o frontalmente. Uno sguardo teso in avanti, come il tempo, per tutto il tempo che ci tiene sospesi. Ci si può voltare poche volte, quel tanto che basta per rivedere quanto si è già percorso e quanto ancora c’è da percorrere. Quanto ancora c’è da restare sospesi. Quanto ancora c’è da essere immagine, fantasma, ombra proiettata sulla vertigine. Il cinema di Mann, e con esso John Dillinger, e con esso lo sguardo (immagine prima e ultima) si muove, oscilla, barcolla, con superba destrezza tra le immagini. E cade e muore solo dopo aver visto. Solo dopo essere stato per lo sguardo.
 
Oh essere anche noi la luna di qualcuno!
Noi che guardiamo
essere guardati, luccicare
sembrare da lontano
la candida luna
che non siamo. **
 
Il funambolo di Michael Mann si muove al bagliore del pallido e delicato incarnato di una donnaluna. Tanto fissa e immobile nell’oscurità quanto luminosa e attraente. Una luna di sangue, rossa e passionale. Occhio del cielo, dal cielo. Nel cinema di Mann, fin da Strade violente, c’è sempre una donna che fissa un corpo in trasparenza. Un corpo trasparente. Che appare transitando. E che viene a mancare. E non può impedirne, trattenerne, frenarne la sparizione, la caduta… John Dillinger è un altro corpo (manniano) che proietta la sua ombra solo roteando nell’orbita di un’altra donnaluna. Solo immerso nel cono della sua luce. Altrimenti è un corpo non visibile, che si libra (o si equilibra…) tra le immagini. Come già accadeva a Sonny in Miami Vice. Quello di Mann è ancora cinema che si incardina nel gioco inesausto e seducente di sguardi e di rimandi, che penetra nelle pieghe della vita. Guardare (è) ciò che ci riguarda. E le (immagini di) donne si moltiplicano qui come in un gioco di specchi wellesiano: Billie, Anna, Polly… Eleanor di Manhattan Melodrama, che pure attrae e sembra ricambiare lo sguardo di Dillinger, mentre la guarda seduto nel buio della sala… E poi… La luna assume una luce acida, rivelando anche la sua instabilità, tutta la sua versatilità. Resta, così, il colpo sordo, sparato a bruciapelo, lo schianto, la morte. E una meravigliosa sospensione a metà tra l’erotico e il religioso: la donna che, senza poter toccare, illuminare più il corpo dell’amato, ne raccoglie le ultime parole. E si è di nuovo distanti. In attesa di scrutare e essere scrutati da un altro altrove.            
 
[…]
Ormai siete ombre d’ombre
che mi scorrono in volto
mentre cammino, io a terra
e la luna lassù.***
 
 
 
 
 
* Ghiannis Ritsos, da Il funambolo e la luna; da cui abbiamo preso in prestito il titolo per questo articolo
** Inedito di Vivian Lamarque pubblicato sulla rivista Poesia.
*** Kostas Kariotakis, da L’ombra delle ore.
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